Pubblichiamo ampi stralci della prefazione — scritta dal rabbino direttore internazionale degli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee (Ajc) — al secondo volume de La Bibbia dell’amicizia (2020, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo [Milano], pagine 386, euro 30), che raccoglie brani dei Neviim/Profeti commentati da ebrei e cristiani.
Un truismo delle relazioni ebraico-cristiane è che «ciò che ci unisce è ciò che ci divide», e questo riguarda non da ultimo le nostre comuni Sacre Scritture. L’affermazione cristiana del Tanakh, la Bibbia ebraica, è stata la base per notevoli riconoscimenti da parte ebraica, dal Medioevo all’Età moderna, dell’esistenza di una relazione speciale e unica tra le due comunità. (...)
Le fondamentali differenze nella comprensione dei termini presenti nelle nostre Scritture comuni hanno inevitabilmente condotto a perplessità, frustrazione e denigrazione rispetto alle altrui affermazioni e rifiuti.
Oggi noi siamo benedetti nel vivere in una nuova era di amicizia ebraico-cristiana, nella quale non abbiamo più bisogno di vedere queste comprensioni e interpretazioni divergenti come fonte di conflitto, ma possiamo perfino considerarle come un’opportunità di incontrare le nostre diverse tradizioni e i nostri reciproci mondi interiori.
Non c’è dubbio che Nostra aetate ha inaugurato un desiderio di riscoperta delle radici ebraiche nato dalla consapevolezza che farlo fosse necessario. Si vedano i successivi documenti della Pontificia Commissione per le relazioni religiose con l’ebraismo: Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della Dichiarazione Conciliare «Nostra Aetate» (n. 4) del 1974, Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica del 1985, Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11, 29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche del 2015.
Papa Francesco ha parlato di «una ricca complementarietà che ci [a ebrei e cristiani] consente di leggere i testi delle Scritture ebraiche insieme per aiutarci a scoprire le ricchezze della parola di Dio» (Evangelii gaudium 249).
Queste affermazioni sono molto in sintonia con le idee espresse nel documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (2001), firmato e prefato dall’allora Card. Joseph Ratzinger e in armonia con le parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo
La trasformazione dell’approccio della Chiesa nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo ha in seguito provocato risposte ebraiche come il documento Dabru emet (2000) e più di recente due dichiarazioni di ebrei ortodossi: Fare la volontà del Padre nostro in cielo: verso un partenariato tra ebrei e cristiani (2015) e la dichiarazione del Gran rabbinato d’Israele, della Conferenza dei rabbini europei e del Consiglio rabbinico d’America Tra Gerusalemme e Roma (2017).
È interessante notare che l’idea di una riconciliazione fraterna venne anticipata da Rav Naftal Zwi Yehudah Berlin, il preside della Volozhin Yeshiva, nel suo commento alla Torah: «E avverrà nelle generazioni future che, quando i cristiani saranno risvegliati in uno spirito di purità, e riconosceranno gli ebrei e i loro valori, anche noi saremo risvegliati a riconoscere che i cristiani sono nostri fratelli».
Nonostante ciò, come i documenti ebraici sopra menzionati affermano, siamo tenuti a continuare a riconoscere le nostre profonde differenze, sia nella teologia che nelle interpretazioni delle Scritture, che mantengono separate le nostre due comunità di fede. Le Scritture che condividiamo continueranno a legarci e a dividerci, nel nostro mondo che non è completamente redento. Però questa tensione è anche molto stimolante.
Per dirla con le parole di Martin Buber: «Abbiamo in comune... un libro e un’attesa. Per voi il libro è un vestibolo, per noi è il santuario. Ma in questo posto noi possiamo dimorare insieme e insieme ascoltare la voce che qui parla. Questo vuol dire che insieme possiamo sforzarci di evocare il corpo sepolto di quella voce, insieme possiamo redimere l’imprigionata parola vivente».
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