· Città del Vaticano ·

La sfida della comunicazione

Incontro, esperienza
responsabilità

Caravaggio, «Vocazione dei Santi Pietro e Andrea» (1603-1606 ca.)
23 gennaio 2021

«Desidero quindi dedicare il Messaggio, quest’anno, al metodo del “vieni e vedi” come suggerimento per ogni espressione comunicativa che voglia essere onesta e convincente». Lo spunto per il Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2021 il Papa lo prende dal primo capitolo del Vangelo di Giovanni dove si racconta dei «primi emozionanti incontri di Gesù con i discepoli». Più volte Francesco ci ha ricordato che, soprattutto nei momenti di crisi, è prezioso ritornare con la mente e con il cuore al “primo amore” e così fa Giovanni che, scrive il Papa «Oltre mezzo secolo dopo, quando Giovanni, molto anziano, redige il suo Vangelo, ricorda alcuni dettagli “di cronaca” che rivelano la sua presenza nel luogo e l’impatto che quell’esperienza ha avuto nella sua vita: “Era circa l’ora decima”, annota, cioè le quattro del pomeriggio». A Giovanni e Andrea il Signore ha rivolto l’invito «Venite e vedete», preceduto da una domanda: «Che cercate?» e di quel dialogo essi ricorderanno per sempre tutto, anche l’orario. Ottimi “giornalisti”. Cosa era successo? Sicuramente quello che è indicato nel titolo del Messaggio: «Comunicare incontrando le persone dove e come sono». Gesù ha comunicato con i due discepoli andando loro “incontro”, entrando in contatto con la loro vita concreta, mostrandosi interessato alla loro condizione di “cercatori”. Non si è accontentato di un giudizio previo, di una sua “idea”, ma ha creato le condizione per un incontro reale, andando a “vedere”, personalmente e più nel profondo, chiedendo loro di fare lo stesso. Questo stile di Gesù indica un “metodo” dice il Papa, che si rivela prezioso per qualsiasi operatore della comunicazione che oggi è spinto, anche dalla potenza della tecnologia a disposizione, a lavorare «senza mai uscire per strada, senza più “consumare le suole delle scarpe”, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni», ma questo modo di comunicare è una evidente contraddizione della propria missione perché «Se non ci apriamo all’incontro, rimaniamo spettatori esterni, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno la capacità di metterci davanti a una realtà aumentata nella quale ci sembra di essere immersi. Ogni strumento è utile e prezioso solo se ci spinge ad andare e vedere cose che altrimenti non sapremmo, se mette in rete conoscenze che altrimenti non circolerebbero, se permette incontri che altrimenti non avverrebbero».

Sono quindi tre le parole che, da una prima lettura di questo Messaggio (altre seguiranno, si tratta infatti di un testo denso che merita ulteriori approfondimenti), emergono prepotentemente: incontro, esperienza e responsabilità.

Incontro vuol dire prossimità, presenza, accoglienza. Accoglienza innanzitutto della realtà dell’altro. Questo è anche il significato della seconda parola “esperienza”, che vuol dire, per citare un’espressione cara, che “la realtà supera l’idea”. Si dice “fare un’esperienza” ma è anche vero il contrario, è l’esperienza che “fa” l’uomo. Un uomo “di esperienza” è un uomo che va e vede e quindi può raccontare. Andare a vedere vuol dire anche lasciarsi vedere, accettare di “essere visto” (è quello che accade all’apostolo Natanaele nello stesso episodio dei primi due discepoli che incontrano Gesù). È un lavoro rischioso fare il comunicatore con questo stile imperniato sull’esperienza diretta, si deve essere pronti a mettersi in gioco e a nudo. Se si vuole incontrare gli altri “dove e come sono”, questo vale anche per se stessi: così come siamo, con tutte le nostre luci, ombre, talenti e fragilità. Incontrare e vivere l’esperienza vuol dire diventare responsabili. L’impatto con la realtà ci trasforma e nasce inevitabilmente la spinta a dare testimonianza di quanto abbiamo visto e ci ha “toccato”. Se incrocio lo sguardo di un altro essere umano ne divento, volente o nolente, responsabile, me ne assumo il “carico”. Il Papa lo dice chiaramente: «Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole. Tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere».

Il tema della responsabilità della e nella comunicazione è molto caro a questo giornale (che il 30 novembre del 2019 ha organizzato una tavola rotonda proprio su questo argomento); è un tema grande, complesso e per metterlo a fuoco è necessario tornare, alla luce del testo del Messaggio del Papa, sul primo punto, quello dell’incontro, sapendo che quando un incontro (vero) avviene, accade qualcosa di più del semplice avvicinamento tra esseri umani. Quando due persone si incontrano “veramente” non ci sono solo loro due ma c’è un’apertura a qualcos’altro, a qualcun altro. Nell’incontro si dà vita ad una esperienza che, se è tale, finisce per trasformare i protagonisti di quel momento e spingerli ad altre esperienze simili. L’incontro è “contagioso”, genera testimoni, comunicatori, rilancia la ricerca instancabile dell’uomo.

Il Vangelo di Giovanni si apre con la domanda di Gesù ai due discepoli: «Cosa cercate?» e si chiude con un’altra domanda, molto simile, che Gesù rivolge a Maria di Magdala: «Chi cerchi?» (Gv 20, 15). In questo quasi impercettibile slittamento dal cosa al chi c’è tutto il senso della vita per un cristiano e di tutti cercatori e comunicatori, onesti, della verità.

di Andrea Monda