In Siria la gente vive

Decine di migliaia di sfollati siriani ammassati nei campi profughi della Siria nord-occidentale dormono da giorni negli acquitrini causati dalle insistenti piogge abbattutesi nella regione. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria — voce dell’opposizione in esilio a Londra — ha documentato le sofferenze degli abitanti di diversi campi profughi nella regione di Idlib e a ovest della città di Aleppo a ridosso col confine turco.
In questa zona fuori dal controllo militare governativo circa due milioni di persone vivono in condizioni umanitarie disperate. Si tratta in larga parte di donne, bambini e anziani che da diversi anni affrontano le rigide temperature invernali e le intemperie in un contesto di generalizzata carenza di servizi di base come riscaldamento, acqua potabile, medicinali.
Ma non c’è solo Idlib. Anche la situazione dei profughi siriani nei campi in Libano è sempre più tragica — e meno visibile ai media. Un devastante incendio ha distrutto, lo scorso 27 dicembre, un grande campo profughi presso la località libanese di Minyeh, che accoglieva un centinaio di famiglie siriane. Secondo la ricostruzione presentata dai volontari di Operazione Colomba, il Corpo non violento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni
Purtroppo, la tragedia dei profughi siriani è una diretta conseguenza del terribile conflitto che da oltre dieci anni sta letteralmente distruggendo la Siria. Città e villaggi sono stati trasformati in cumuli permanenti di macerie. Scuole bombardate (con dentro i bambini), stessa sorte per gli ospedali (con dentro i malati) e per i mercati all’aperto. Un Paese devastato ben oltre il limite del tollerabile. Il 90% della popolazione — secondo le stime delle Nazioni Unite — versa in condizioni di estrema povertà. L’economia è in ginocchio; l’inflazione è fuori controllo, così come la corruzione. Non c’è più pane da mangiare o combustibile per riscaldarsi. L’emergenza sanitaria ovviamente complica le cose: la pandemia sta dilagando ben oltre i numeri ufficiali, con un sistema sanitario al collasso: non ci sono macchinari, non ci sono medici o infermieri. Secondo le testimonianze locali, è surreale immaginare l’esistenza di dotazioni adeguate di mascherine o di tamponi: in molte strutture manca l’ossigeno, manca perfino l’acqua potabile. Una situazione che definire drammatica è poco. E la fine del tunnel ancora non si vede.
di Luca Possati