· Città del Vaticano ·

L’arte sull’arte di tacere

Dosso Dossi, «Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù» (1523-1524)
15 gennaio 2021

Su un quadro dell’artista Salvator Rosa è effigiato un motto che così recita: «Taci, a meno che il tuo parlare sia meglio del silenzio». Tale esortazione, che ha tutto il grave peso della sentenza, è attribuita a Pitagora dallo scrittore greco Stobeo: essa riveste un valore di attualità immune dal corrosivo e impietoso passare dei secoli. In questo motto si specchia una fondamentale norma di comportamento che trova un robusto e significativo riscontro anche nella storia dell’arte.

Nell’Allegoria del silenzio (1582) di Paris Nogari, affresco conservato nella Sala degli Svizzeri in Vaticano, a dominare la scena è il dito indice della mano destra, sollevato all’altezza del volto e appoggiato sulle labbra. Nel frattempo gli occhi ardenti del soggetto dalla folta barba invitano l’interlocutore a una muta complicità. L’opera testimonia la volontà di ricordare le insidie che maliziosamente serpeggiano tra le pieghe della parola, quando essa è pronunciata in modo incauto, tanto da poter ferire, anche mortalmente, le persone alle quali è rivolta. La cicogna con l’uovo in bocca, collocata accanto all’uomo, serve a rafforzare il concetto: dovendo portare il prezioso carico — il guscio custodisce un segreto — la cicogna non può emettere versi. Altrimenti l’uovo si romperebbe e di conseguenza il segreto, l’Arcanum Dei — in spregio alla virtù della discrezione — verrebbe svelato.

Affrescate sulla volta sopra l’altare maggiore della Basilica Inferiore di Assisi, tre vele — l’allegoria della Castità, della Povertà e dell’Obbedienza — segnano i cardini della Regola francescana. Nell’allegoria dell’Obbedienza (attribuita o a Giotto a uno dei suoi allievi, Angiolello da Gubbio), essa è ritratta seduta e con l’indice della mano destra sulla bocca comanda, in modo perentorio, il silenzio a un frate che le sta davanti e in ginocchio, pronto a ricevere il giogo con sottomissione. In questo scenario, l’allegoria non solo esprime un monito ad usare misura e moderazione nell’uso delle parole, ma anche un solenne invito a tacere. Il silenzio, infatti, non va interpretato come un atto di debolezza, una rinuncia alla lotta, un declinare verso un gracile compromesso. Al contrario, il silenzio, nell’ottica della vigile obbedienza, si configura come un atto di responsabilità, nutrito della consapevolezza che l’uso tempestivo ed oculato del tacere può contribuire al bene del singolo e della collettività meglio, molto meglio rispetto ad un’eloquenza che, inquinata dalla verbosità, rischia di svaporare nell’irrilevanza e nell’oblio.

Impregnato di una dimensione sia allegorica che esoterica, che risente del clima caratteristico della corte di Ferrara nel primo Cinquecento, è il dipinto (1523-1524) di Dosso Dossi Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù. Riconoscibile per la saetta appoggiata ai piedi, Giove è ritratto nell’atto creativo, cioè mentre dipinge delle farfalle sulla tela. La farfalla è il simbolo della volatilità del pensiero, così come l’arcobaleno, che appare dietro il cavalletto, è l’emblema delle evanescenze delle idee. Attraverso il processo pittorico l’artista intende comunicare che al principio di ogni creazione deve sottendere una precisa idea ispiratrice, legata a un concetto di ordine universale. In sostanza, urge in modo inderogabile la presenza di una ispirazione che non deve essere violata, condizionata e disturbata. Ecco allora che s’impone con icastica evidenza il gesto di Mercurio che con il dito, appoggiato sulle labbra, invoca il silenzio concepito come baluardo in difesa appunto di una ispirazione che richiede una sorta di “quiete iniziatica”, preludio alle varie forme di creazione, tra cui quella artistica. Il volto di Mercurio, che sembra girarsi di scatto come preoccupato che l’ispirazione possa essere compromessa, fa come da puntello al dito alzato di Mercurio, votato a comandare il silenzio. Le sue forme aggraziate contribuiscono, per contrasto, a conferire al suo invito a tacere un’autorità ancor più potente e solenne.

di Gabriele Nicolò