· Città del Vaticano ·

La settimana di Papa Francesco
Verso la XXIX Giornata mondiale del malato che si celebra il prossimo 11 febbraio

Quando la malattia
diventa esperienza
di fraternità

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14 gennaio 2021

La terribile esperienza della pandemia dovuta al covid-19 ci fa riconsiderare la fragilità del nostro corpo e la responsabilità di prenderci cura degli altri come il cuore della nostra vita personale e sociale. Diventiamo consapevoli, in modo nuovo, della nostra umanità, vulnerabilità e solidarietà (in tal senso si veda il paragrafo 2 del messaggio del Santo Padre per la xxix Giornata mondiale del malato, che verrà celebrata il prossimo 11 febbraio).

La delicata e costante cura di Cristo per i malati è un elemento determinante nelle narrazioni evangeliche. Tutto inizia con lo sguardo di Gesù e la compassione che Egli offre a chi soffre, nell’anima e nel corpo. Si rende vicino a coloro che sono esclusi dalla comunità a causa della loro malattia.

Fermandoci, in questa Giornata mondiale del malato, per portare nel nostro affetto e nella nostra preghiera coloro che sono stati toccati, indeboliti o feriti dalla malattia, riscopriamo il carattere prezioso di tutta la vita, dalla nascita alla morte, e la bellezza di coloro che guariscono.

«La malattia ha sempre un volto», scrive il Santo Padre al n. 3 del messaggio. È il volto di ogni persona che soffre. È anche il volto di chi si fa «vicino» ai sofferenti: medici, operatori sanitari, volontari, accompagnatori, religiosi. Tutti ci ricordano l’umiltà e la grandezza del servizio e della fraternità umana (cfr. n. 3 e 4). In uno scambio misterioso, ci prendiamo cura l’uno dell’altro e quando offriamo il «balsamo prezioso» della vicinanza, riceviamo la gioia intima della fiducia condivisa (Ibid. n. 4). Perché la cura trova il suo significato e la sua piena misura nell’approccio “olistico” a ogni malato, considerato in tutte le sue dimensioni: corpo, vita interiore, relazioni, convinzioni e desideri.

Il riferimento alla figura evangelica del «buon samaritano», che è il cuore dell’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco (3 ottobre 2020), ci chiama a «fare la deviazione» per avvicinarci al «ferito» (cfr. Messaggio per la xxix Giornata mondiale del malato, n. 3). Questa esperienza di com-passione (ovvero di passione condivisa) ci fa crescere in umanità e ci porta al cuore di Dio, il Padre di ogni misericordia. È un viaggio di incontro con l’altro che rinnova anche la nostra comunità umana. Chi si prende cura di un fratello o di una sorella si prende cura dell’intera umanità.

L’esperienza della malattia, nelle sue forme più dolorose e insidiose, ci introduce anche alla dimensione sociale del dolore e della sofferenza: violenza, ingiustizia, maltrattamenti, disprezzo. La predilezione di Cristo — la carità — per i più poveri ci ricorda che esiste anche una malattia sociale: l’abbandono e la solitudine. Di fronte alla domanda del “perché”, che perseguita coloro che la vita ha crocifisso, raggiungiamo i limiti del nostro discorso e delle nostre giustificazioni. Noi percepiamo che l’unico atteggiamento appropriato è la presenza fraterna, che compie la Parola: «Io sono qui»; «Gesù ci salva»; «Cristo è con noi».

Il grido della sofferenza raggiunge il cuore paterno di Dio e ci chiama alla parte più intima della nostra fede. Nel viaggio attraverso la malattia, la parola di Giobbe sale alle nostre labbra, più forte della nostra conoscenza. Ci purifica da tutte le nostre ipocrisie, quando distogliamo lo sguardo e continuiamo il nostro cammino, affermando, senza soddisfarlo veramente, il requisito dell’amore offerto. Lasciandoci guarire dalla presenza di Cristo, data nel gesto sincero del “prossimo” e del fratello, sperimentiamo (Ibid. n. 2) la malattia come una nuova conoscenza di Dio stesso: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Giovanni 42, 5).

Così comprendiamo che la nostra unica forza è la fede ispirata in noi dallo Spirito di Cristo-Fratello e Custode... e che la chiamata, in mezzo all’angoscia, ci fa vivere pienamente ciò in cui crediamo, senza timore o «ipocrisia» (n. 1).

Il messaggio del Santo Padre, quindi, in questi giorni di ansia per il nostro futuro, ci chiama a considerare la fragilità umana, non in modo disperato, ma a lasciarci risollevare da un Dio che si preoccupa incessantemente della nostra umanità e non abbandona mai, come dice il profeta, coloro il cui nome è «scritto nel palmo della sua mano».

di Bruno Marie Duffé
Segretario del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale