· Città del Vaticano ·

Allenati a leggere il dolore

Una scena del film «Million Dollar Baby» di Clint Eastwood
14 gennaio 2021

Pubblichiamo uno stralcio del libro «Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre» (Feltrinelli, 2013).

Da bambino avevo due eroi: Gesù e Telemaco. Era il mio modo di meditare sul legame con mio padre e sulla sua assenza. Sono cresciuto in una famiglia troppo occupata a lavorare per prendersi cura dei propri figli. La mia analisi mi ha liberato dal tormento rivendicativo facendomi scoprire in questa assenza un fatto di struttura: l’essere del padre è sempre l’essere di un’assenza. Non è forse quello che hanno sperimentato traumaticamente sia Gesù che Telemaco? Non sono forse due figli che hanno conosciuto profondamente l’abbandono del padre, la sua assenza più radicale?

Se il padre è un’assenza, o, meglio, se la sua è un’assenza sempre presente, egli non può che renderci orfani. Essere figli, essere eredi, è sempre essere anche orfani. Il giusto erede non tampona la verità della struttura, non cancella il fatto che nessun padre ci potrà salvare. Ma se il Nome del Padre è questa assenza — questo vuoto impossibile da colmare — l’atto di un padre reale (di un genitore) rende possibile una trasmissione e fonda quella filiazione simbolica che può umanizzare la vita. Questo atto è l’incontro contingente con una testimonianza, con una incarnazione singolare della Legge del desiderio. C’è, infatti, padre solo dove c’è testimonianza singolare di come sia possibile tenere insieme, e non opporre, Legge e desiderio. Solo dove il nome della Legge non è il nome di un’oppressione, ma di una liberazione. Qualunque cosa può essere un padre; qualunque cosa può rendere possibile l’incontro con la nuova alleanza tra Legge e desiderio. Qualunque cosa può tornare dal mare. Un allenatore di pugilato lettore della Bibbia — come Frankie di Million Dollar Baby di Eastwood — un vecchio pensionato, un maestro della scuola elementare, una madre, la lettura di un classico, un’opera d’arte, un sindaco, un appassionato di cinema... L’eredità non è mai eredità di sangue, non è consolidamento di un’identità solida: ciò che si eredita è sempre una testimonianza. In questo senso ogni paternità, come spiega Françoise Dolto, è radicalmente adottiva. Tutto l’ultimo cinema di Clint Eastwood esalta la possibilità di trasmissione del desiderio al di là del sangue e della natura. Qual è il punto che dobbiamo ancora sottolineare con forza? È che qualunque cosa, qualunque incontro contingente, può portare con sé il dono della testimonianza possibile dell’alleanza tra Legge e desiderio. Non esistono testimoni di professione come non esiste una pedagogia della testimonianza. La testimonianza può essere riconosciuta solo in una ricostruzione retroattiva. Vive nel tempo della pura contingenza. Non risponde a un piano, non si può assicurare, non dipende da una tecnica. La forza della testimonianza è nel suo accadere là dove non l’avresti mai aspettata.

(...) Negli anni più infuocati della mia giovinezza ruppi violentemente il rapporto con la scuola per dedicarmi anima e corpo alla militanza politica. Eravamo alla fine degli anni Settanta. Andare a scuola appariva a me e a molti miei compagni una perdita di tempo. Avevamo il movimento e il mondo da cambiare. Tutto quello che ci veniva detto ci sembrava nato già morto. La politica era invece gioia, spinta alla vita, esperienza di risurrezione del desiderio. Di fronte all’ennesima bocciatura non ebbi più tentennamenti. Giudicai il mio rapporto con l'istituzione-scuola chiuso. Ma avevo trascurato il mio essere figlio, avevo trascurato la parola di mia madre. Dopo alcuni mesi dalla mia scelta, mi attese sulla porta di casa. Lei non aveva mai potuto studiare per miseria e aveva difficoltà a scrivere correttamente in italiano per le incidenze profonde che sulla lingua esercitava ancora il dialetto friulano delle sue origini.

Sulla porta mi disse semplicemente che avrei dovuto continuare i miei studi. «Per quale ragione?» le chiesi a muso duro. «Quella scuola non è niente per me!» dissi pensando di chiudere così quella breve conversazione (...) «Non fare come me, tu che puoi. Se studi non te ne pentirai». Concluse infine senza originalità. Cosa mi stava dicendo se non che se avessi continuato a studiare avrei visto più cose, più vite, più mondi di quelli che lei aveva potuto incontrare senza mai aver studiato? (...) La sua è stata per me, retroattivamente, una testimonianza nel senso più forte del termine. Mio padre (...) lo ricordo camminare davanti a me con il passo di un gigante le domeniche mattina quando andavamo insieme a visitare i bancali della serra dove giacevano doloranti le sue piante malate. Il suo italiano incerto e dialettale lasciava allora misteriosamente il posto al latino. In quella lingua antica e sconosciuta pronunciava i nomi delle malattie e quello delle sue piante. Leggeva sulle foglie (morsicate da insetti invisibili dai nomi più misteriosi o invase da muffe e da maculature spettrali) il loro dolore per poi preparare le pozioni magiche per il trattamento che le avrebbe guarite. Aveva fatto tutto questo dal nulla. Aveva accettato la scarna eredità materiale del padre — che aveva una certa passione per il lavoro della terra, ma preferiva gozzovigliare tra pezzi umili di antiquariato — per farla germinare in modo imprevedibile. Aveva inventato una professione come quella di floricoltore senza che vi fosse stata alcuna cultura familiare.

Nel mio lavoro clinico ho sempre avuto una passione per la dimensione della diagnosi differenziale, per individuare la struttura soggettiva particolare che orienta il discorso del soggetto. Da dove veniva questa passione? Il ricordo infantile di mio padre dedicato al dolore delle foglie contiene il nocciolo della mia eredità. Cosa ho ereditato? Non un regno, non una discendenza illustre, non geni, né beni, ma una testimonianza silenziosa del desiderio. Osservavo mio padre chino sulle sue piante. E sapevo che quella era la sua vita, quello il suo lavoro, quella la sua soddisfazione, quello il suo mondo. Togliere il dolore delle piante, restituire loro la vita, farle crescere forti. Salvarle dalle muffe, dal male, dalle colonie extra terrestri di insetti invisibili. Dedicarsi a leggere e a curare le foglie. E cosa sono diventato io? Non sono forse uno che legge il dolore delle foglie? Che legge gli uomini come se fossero foglie?

di Massimo Recalcati