
Anticipiamo il brano conclusivo dell’articolo su “Creazione e dialogo nella Rivelazione ebraico-cristiana” sul numero in uscita a gennaio di «Dialoghi», trimestrale culturale promosso dall’Azione cattolica italiana.
L’alterità Dio/uomo/mondo fonda la possibilità del dialogo autentico fra i tre elementi della stella metafisica cercata e rincorsa dai magi che siamo. E in tale prospettiva si colloca la “testimonianza” che la creazione offre all’uomo, attestata in Dei Verbum : «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Giovanni , 1, 3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Romani , 1, 19-20); inoltre, volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Genesi , 3, 15), ed ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Romani , 2, 6-7)».
Un luogo paradigmatico della valenza testimoniale della creazione lo rinveniamo in Agostino (Confessioni , X ,VI) : «Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: “Non sono io, ma è lui che mi fece”. Interrogai la terra, e mi rispose: “Non sono io”; tutte le cose che si trovano in essa fecero la medesima confessione [idem confessa sunt : Agostino “personalizza” il creato e gli attribuisce poeticamente una intenzionalità “confessante”]. Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con anime vive; e mi risposero: “Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi”. Interrogai i soffi dell’aria, e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi rispose: “Anassimene si sbaglia, io non sono Dio”. Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: “Neppure noi siamo il Dio che cerchi”, rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo [cioè i cinque sensi]: “Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui”; ed essi esclamarono a gran voce: “È lui che ci fece”. Le mie domande erano il mio stesso contemplarle; le loro risposte, la loro bellezza. Non appare a chiunque è dotato compiutamente di sensi questa bellezza? Perché dunque non parla a tutti nella stessa maniera? Gli animali piccoli e grandi la vedono, ma sono incapaci di fare domande, poiché in essi non è preposta ai messaggi dei sensi una ragione giudicante. Gli uomini però sono capaci di fare domande, per scorgere quanto in Dio è invisibile comprendendolo attraverso il creato (Romani , 1, 20). Sennonché il loro amore li asservisce alle cose create, e i servi non possono giudicare. Ora, queste cose rispondono soltanto a chi le interroga sapendo giudicare; non mutano la loro voce, ossia la loro bellezza, se uno vede soltanto, mentre l’altro vede e interroga, così da presentarsi all’uno e all’altro sotto aspetti diversi; ma, pur presentandosi a entrambi sotto il medesimo aspetto, essa per l’uno è muta, per l’altro parla; o meglio, parla a tutti, ma solo coloro che confrontano questa voce ricevuta dall’esterno, con la verità nel loro interno, la capiscono . Mi dice la verità: “Il tuo Dio non è la terra, né il cielo, né alcun altro corpo”; l’afferma la loro natura».
L’interlocuzione uomo/cosmo, attraverso la “voce” delle creature, costituisce il contesto in cui si realizza il miracolo/dono della parola. Un dono che, nella voce, si esprime come invocazione anche a livello cosmico. Ha destato particolare meraviglia il riferimento di Papa Francesco alla preghiera degli animali in una sua recente catechesi. Eppure si tratta di una zoologia mistica, che trova le sue radici nella Scrittura e nella Tradizione e rimanda alla dimensione dialogico-testimoniale della creazione stessa: «Tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi». Francesco richiama un’espressione poetica di Tertulliano: «Prega ogni essere creato, pregano gli animali e le fiere e piegano le ginocchia [...]; e anche gli uccelli, non appena spiccano il volo, van su verso il cielo e allargano le loro ali come se fossero mani a forma di croce, cinguettano qualcosa che pare preghiera» (De oratione , XXIX ). E il Papa precisa: tutto il creato prega, «ma noi siamo gli unici a pregare coscientemente, a sapere che ci rivolgiamo al Padre, e ad entrare in dialogo con il Padre» (udienza di mercoledì 9 dicembre 2020).
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