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I vichinghi non c’entrano

 I vichinghi non c’entrano  QUO-004
07 gennaio 2021

Il legame tra la cultura britannica e la tradizione greco-latina
secondo Chesterton


Le nuove tecnologie costringono l’editoria a ripensare modi e forme di stampa. E la liberano da alcuni limiti. Non esiste più una dimensione minima per la pubblicazione di uno scritto, una ventina di pagine sono più che sufficienti per venire offerte al pubblico. Quello che era l’estratto di una rivista rinasce come proposta autonoma. È il caso in questi giorni di La letteratura inglese e la tradizione latina, testo di una conferenza tenuta da Gilbert Keith Chesterton a Palazzo Vecchio di Firenze, nel salone dei Duecento, il 14 maggio 1935, per il iii ciclo delle Settimane della cultura, riproposto in questi giorno dalla bolognese Marietti nella forma di un e-book al prezzo poco più che simbolico di 1,99 euro.

La recente e sofferta decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione europea, che in questi giorni giunge al suo epilogo, conferisce attualità al discorso dello scrittore britannico, che sostiene con decisione l’appartenenza della cultura inglese all’ambito greco-latino, insieme alla sua notevole distanza dalla matrice germanica.

Benché poco più che sessantenne, nel 1935 Chesterton, autore prolifico e celebre soprattutto per I racconti di padre Brown e il saggio Ortodossia, non gode di una salute robusta. La sua mole imponente, è alto oltre un metro e novanta per 130 chili di peso, costringe a uno sforzo eccessivo il cuore, destinandolo alla morte precoce che lo coglierà l’anno successivo. La mente rimane però lucida e il suo umorismo intatto. L’intervento fiorentino non nasconde un netto rifiuto di ogni forma di razzismo e l’ostilità per il nazismo giunto al potere in Germania da meno di un anno. Nel maggio del 1935 la guerra d’Etiopia non è ancora iniziata, il colpo di Stato che avrebbe fatto precipitare la situazione in Spagna è lontano, la posizione politica dell’Italia non è definita a fianco della Germania di Hitler. È in questo contesto almeno in apparenza ancora aperto che lo scrittore inglese, nato in una famiglia anglicana e convertitosi da adulto al cattolicesimo, sostiene il profondo legame tra la lingua e la cultura britanniche e la tradizione greco-latina dell’impero romano.

Le sue argomentazione risultano particolarmente godibili. Irride un autore che gli ha mandato un libro nel quale si afferma la discendenza diretta della tradizione britannica da quella vichinga, intitolato Per Thor, no!, segnalando che tradurre l’esclamazione «per Giove» significa in primo luogo riconoscerne la derivazione. L’appartenenza inglese al contesto nordico costituisce dunque un vezzo letterario, appannaggio di qualche erudito, paragonabile alla pretesa di considerare gli italiani eredi esclusivi di mercenari germanici, turisti inglesi o giramondo americani.

L’autore che secondo Chesterton meglio dimostra quanto la cultura letteraria inglese sia collegata a quella greco-latina è comunque lo stesso Shakespeare. Il massimo autore, pilastro della tradizione culturale britannica, infatti, «sapeva poco latino e meno greco, ma conosceva bene Plutarco ed era saturo di classicità». A riprova di questa tesi è facile ricordare quanta parte dell’opera shakespeariana sia fondata su storie e accadimenti propri del mondo greco-romano e del rinascimento italiano. Un sentire profondo collega gli scritti del grande autore inglese alla tradizione romana: la scrittura che impiega conferma le basi classiche della sua formazione e della sua modalità espressiva. Le frasi che usa, avverte Chesterton, significano più di quanto non dicano, parlano all’umanità intera e non solo ai protagonisti della vicenda che si sta svolgendo, al contrario di ciò che accade nella prosa romantica, nella quale il significato non eccede quanto viene detto.

Questo esito culturale segue dal fatto che le letterature anglo-latina e franco-inglese precedono quella inglese ed è da esse che dipende la scrittura di Shakespeare, come del resto tutte le culture nazionali europee, legate le une alle altre da una comune origine. È per questo che gli inglesi possono sostenere, come conclude Chesterton di aver «preso posto nel campo della civiltà e non voler dimenticare, nemmeno per un’ora ciò che fu fondato da Cesare e rifondato da Augusto». Insomma, la Brexit cui siamo di fronte va considerata una breve dimenticanza, un appannamento da correggere in fretta. Se anche l’Unione europea saprà fare la sua parte.

di Sergio Valzania