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Missione e speranza nella Repubblica Centrafricana

Dio è nato anche qui

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04 gennaio 2021

Come un’onda, i fedeli si muovono a sinistra e poi a destra. Il loro canto si alza e i loro corpi si spostano ritmicamente. La preghiera non è solo una formula ripetuta, ma è una danza che coinvolge tutto il fisico: le braccia, le gambe e, ovviamente, la voce. Una spiritualità fisica che, attraverso il movimento, si trasferisce all’anima. Un’invocazione a Dio allegra e gioiosa che si è levata nel giorno di Natale in un contesto difficile come quello della Repubblica Centrafricana. Un Paese che, dal giorno dell’indipendenza nel 1960, ha conosciuto lunghi periodi di instabilità e che, dal 2013, dopo il colpo di Stato che ha deposto il presidente François Bozizé, non è riuscito a incamminarsi su un sentiero di pacificazione.

Nel 2015, la visita di Papa Francesco e l’apertura della Porta santa a Bangui avevano fatto sperare in una svolta, ma le tensioni sono continuate. Gruppi di ribelli controllano quasi i due terzi del territorio nazionale, le risorse naturali (legname, oro, uranio, eccetera) hanno attirato le attenzioni di numerose potenze straniere. Le elezioni tenutesi il 27 dicembre riusciranno a portare la stabilità? Difficile dirlo. I movimenti ribelli si sono coalizzati e non si sa come si muoveranno nei prossimi giorni. A pagare questa situazione di incertezza è la popolazione civile che vive nel terrore che si possano ripetere le tensioni e, con esse, possano tornare violenze, saccheggi, distruzioni. «C’è terrore nei civili», spiega padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano a Baoro.

«Gli ultimi sette anni sono stati terribili per il Centrafrica e le persone non vogliono rivivere quello stato di devastazione e timore continui. Qui da noi le autorità sono già fuggite in zone più sicure. La popolazione si sente abbandonata».

Il Paese è tra i più poveri del continente africano con un’economia modesta e ben poco diversificata e anche la povera economia locale rischia di essere travolta. «Le strade principali attraverso le quali arrivano le merci dall’estero sono state bloccate», continua il missionario. Il rischio «è che si registri una mancanza di beni essenziali e che i prezzi aumentino e diventino insostenibili per la gente comune».

Padre Aurelio non lascia la missione. Anzi, ha continuato e continuerà le sue attività. «Nella nostra missione — osserva — è attiva una scuola di meccanica per giovani e adulti. Ho chiesto loro di venire a lezione e di continuare a studiare. Anche nella difficoltà, dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e portarle a termine». In questo contesto così difficile il Natale è stata una pausa di festa e di vicinanza alla popolazione locale. «Nonostante il covid-19 e l’insicurezza ho potuto celebrare il Natale in alcuni villaggi (Igwe, Bayanga-Didi, Yoro e Sinaforo) che, pur appartenendo alla missione, sono distanti da Baoro», spiega ancora Gazzera. Raggiungere i villaggi non è stato semplice. «Le comunità sono a un’ottantina di chilometri — continua il missionario carmelitano — ma per arrivarci bisogna fare un lunghissimo giro perché la strada diretta non è praticabile. Anche la strada alternativa è difficile da percorrere, non si può andare molto veloce, al massimo venti chilometri orari. Quindi abbiamo impiegato parecchio per raggiungere le comunità».

Una volta là però è stata una grande festa. I fedeli si sono raccolti intorno al loro sacerdote e hanno partecipato con gioia alla celebrazione eucaristica. «Normalmente sono seguiti da catechisti laici che fanno un ottimo lavoro portando la liturgia della Parola», conclude padre Aurelio. «Per loro, avere un sacerdote è un evento. Ma in questi villaggi Dio c’è. È nato e anche qui ha preso dimora».

di Enrico Casale