· Città del Vaticano ·

I «Pensieri giovanili» di Giovanni Battista Montini

Coerenza tra parola e azione

Giovanni Battista Montini, giovane sacerdote nel suo studio romano
04 gennaio 2021

È un Giovanni Battista Montini poco più che ragazzo il protagonista del volume Pensieri giovanili (1919-1921) (Roma, Studium, 2020, pagine 136, euro 18) per la cura di Angelo Maffeis docente di teologia, autore di importanti pubblicazioni e impegnato nell’attività ecumenica. Il libro raccoglie un centinaio di pagine scritte da Giovanni Battista su un taccuino a partire dal mese di settembre del 1919 che non solo ricostruiscono un ambiente culturale, religioso e sociale, ma permettono di seguire un intenso percorso spirituale, fondato sulla coerenza del pensiero, della parola, dell’azione. Un documento prezioso, come sottolinea Maffeis nella sua ampia e bella introduzione, che illumina il periodo della formazione, l’ordinazione sacerdotale e l’inizio del ministero di colui che, dopo essere stato arcivescovo di Milano, nel 1963 sarebbe salito al soglio pontificio con il nome di Paolo vi .

Uomo di finissima cultura e di grande sensibilità, Montini cresce in uno stimolante ambiente familiare, dove la madre Giuditta rappresentava il richiamo a una vita contemplativa e insieme la prossimità concreta e quotidiana ai fragili e ai bisognosi e il padre Giorgio era un uomo d’azione impegnato nel cattolicesimo sociale e politico. Nel momento in cui la scelta fondamentale della sua vita, l’ordinazione sacerdotale, è compiuta, Giovanni Battista avverte che ancora molto resta da decidere. Con grande rigore e onestà intellettuale riflette e si interroga sul suo futuro, nel timore di non essere pronto ad adempiere con compiutezza il ministero al quale sarà chiamato. All’indomani della scelta sacerdotale Giovanni Battista vorrebbe ancora del «tempo utile per prepararsi all’azione», ma con scrupolo vaglia questa necessità chiedendosi se scegliere di dedicarsi ancora allo studio non sia un sottrarsi alle nuove responsabilità, «una fuga dal lavoro pastorale».

Nel farsi voce della voce divina, Montini sente che non basta «essere un fedele» ma è «doveroso essere un apostolo» e per realizzare questo disegno usa una parola che sarà centrale nella sua riflessione spirituale e nel suo impegno sacerdotale: testimonianza. Il dialogo con se stesso e con gli altri sarà una costante in tutta la sua vita e negli anni difficili del pontificato. Per consolidare, come osserva Maffeis, l’orientamento che intende dare al suo impegno religioso Montini continua a interrogarsi su temi quali la verità, la passione nel servire la Chiesa, l’umiltà, la preghiera, la lucidità necessaria nelle scelte che devono essere compiute fuori dall’influsso di emozioni forti.

Il sacerdote che nell’Epifania del 1955 arriva vescovo nella città ambrosiana seguito da migliaia di libri, che ha per compagni di meditazione Paolo, Girolamo, Agostino ma anche Leopardi, Verlaine, Tommaseo, che prega perché «il frastuono delle macchine» nella Milano industriale si faccia «musica», ci lascia in queste pagine un ritratto intimo e toccante nella sua sincerità. Non sono le domande e le inquietudini legate a quella stagione di incertezze che è sempre la giovinezza, ma il segno precoce della profondità, del rigore, dello slancio umano che accompagneranno tutta la sua vita. Carità, generosità, perdono, rettitudine sono concetti fondanti che riassumono quel sentimento profondo di amore per l’altro che è totalità, vicinanza, condivisione. «Se non ami il fratello che vedi, come amerai Dio che non vedi?» si chiede Montini facendo sue le parole dell’apostolo Giovanni.

Spesso criticato, non compreso, dimenticato, Paolo vi si annuncia, in queste pagine giovanili, come quello spirito eletto che gli permetterà di diventare, sono le parole di Papa Francesco al momento della canonizzazione, un «grande» Pontefice e «un instancabile apostolo». Lettore sollecito e partecipe del suo tempo, aveva intuito che il passato si stava concludendo e che il nuovo avrebbe cambiato la storia. Ascoltando questa intuizione fu interprete sensibile e profondo dell’apertura conciliare, del progetto ecumenico, del rinnovamento per una Chiesa «samaritana» e «ancella dell’umanità». Come non ricordare quell’imperativo morale contenuto nella grande enciclica Populorum progressio: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia». E ancora la forza delle parole pronunciate alle Nazioni Unite, un appello alla ragione, alla giustizia, al diritto e una condanna ferma di ogni conflitto armato.

Il grande giurista e storico Arturo Carlo Jemolo scriveva che due testi dovrebbero essere presenti in tutte le antologie scolastiche: la lettera che Paolo vi scrisse agli uomini delle Brigate rosse e la preghiera di suffragio per Aldo Moro e la sua scorta. Su queste pagine tanto si è scritto e si è discusso ma, al di là dei fiumi d’inchiostro versati, ciò che resta davvero è la grandezza morale di un Pontefice che, nel momento più buio e drammatico della storia repubblicana dell’Italia, non si trincerò dietro opportunità e strategie politiche, ma fece di tutto per salvare la vita di un fratello.

di Francesca Romana de' Angelis