· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Film

Essere madre
o Madre

varobj3034206obj2035841.jpg
02 gennaio 2021

Le nuove suore raccontate dalle donne al cinema


O donne represse sessualmente, o creature senza cuore, o allegre canterine: quando il cinema decide di raccontare le suore, rischia spesso di inciampare negli stereotipi. Li evita il film Maternal diretto dalla regista Maura Delpero, applaudito dalla critica internazionale e premiato a una ventina di festival. Ambientato a Buenos Aires in un “hogar”, una casa-rifugio per madri adolescenti tenuta dalle monache, il film ha come protagonista una novizia (interpretata dall’intensa Lidiya Liberman) che, mentre attende di prendere i voti perpetui, stabilisce un rapporto affettivo profondo con una bambina abbandonata dalla mamma sbandata. E quel legame, forte e istintivo, non sfugge alla superiora, preoccupata che possa mettere in discussione la vocazione stessa della giovane religiosa, a sua volta divisa tra il sentimento che prova per la piccola e il desiderio di consacrarsi a Dio. Delpero, 45 anni, nata a Bolzano ma di formazione “transoceanica” (ha studiato tra Europa e Argentina), un passato di apprezzata documentarista, affronta un tema mai indagato dal cinema: il rapporto delle donne consacrate con la maternità a cui, prendendo il velo, hanno scelto di rinunciare. E lo fa con delicatezza, sensibilità, profondità regalando al pubblico una prospettiva nuova su un mondo spesso giudicato all’insegna di morbosità o pregiudizi.

Come le è venuta l’ispirazione?

Ero partita con l’idea di raccontare la convivenza tra suore e madri precoci e, per conoscere da vicino quella realtà, ho vissuto in un “hogar” di Buenos Aires insegnando cinema alle ospiti. Ma un giorno, guardando una giovane monaca che raccoglieva un neonato dalla culla, ho colto nei suoi occhi un palpito che non era semplice carità cristiana, ma qualcosa di più intimo e primordiale. E’ stata una visione ispiratrice che mi ha spinto a cambiare il tema del film, spostandolo sul rapporto tra una suora e il suo istinto materno che affiora con prepotenza.

Come si è preparata ad affrontare un argomento così complesso e poco indagato?

Ho parlato con alcune suore. Scoprendo quanto sia viziato dai luoghi comuni l’immaginario che le riguarda: si è sempre data troppa importanza alla rinuncia sessuale, ma una donna che prende il velo ha già fatto i conti con questo aspetto della sua scelta. Invece a volte, specie se è entrata in convento in giovane età, non considera la possibilità che l’istinto materno possa manifestarsi portando con sé un conflitto interiore, un dilemma da sciogliere.

Ma le suore hanno accettato di parlare con lei di questi temi intimi?

Il rapporto con la maternità è di solito un tabù, ma le religiose che ho avvicinato si sono fidate di me, ammettendo con sincerità che quel dilemma si era presentato. Quasi tutte lo avevano affrontato e risolto nel convento, a livello spirituale. Ma ne ho incontrata una che, per diventare madre, aveva abbandonato il velo.

Lei ha studiato dalle monache?

No, ho fatto le scuole dai preti. Oggi mi considero agnostica ma sono cresciuta tra messe, rosari, profumo d’incenso.

Ha mostrato Maternal alle suore della casa-rifugio in cui ha trovato l’ispirazione?

Sì, ed è stato emozionante. Temevo che bocciassero il film ritenendolo troppo crudo. Invece sono state contente, si sono riconosciute. Un motivo ulteriore per sfatare falsi miti: le suore, specialmente quelle che svolgono lavori sociali, sono immerse nella realtà.

Pensa che la società abbia una visione distorta delle donne consacrate?

Vigono pregiudizi frutto dell’ignoranza. La scelta di entrare in convento è quasi sempre associata alla rinuncia del mondo. Nessuno valuta che dietro ogni vocazione ci sono motivazioni profonde. La società cinica accoglie con sarcasmo il sorriso beato di certe suore, ma la loro espressione pacificata è quasi sempre segno dell’adesione ad un progetto grande, cercare un amore superiore, incondizionato, che non si può trovare nel mondo.

Cosa le ha lasciato l’esperienza del film?

Ha ribadito che la nostra visione delle persone consacrate è spesso dettata dall’ignoranza. Noi laici abbiamo la presunzione di giudicare senza sapere e tendiamo a generalizzare. Ma nel mistero della vocazione una parte di conoscenza ci è preclusa. E questo fatto dobbiamo soltanto accettarlo.

di Gloria Satta