LA BUONA NOTIZIA

Nel prologo di Giovanni la Parola viene «ad abitare in mezzo a noi». L’espressione abitare sarebbe alla lettera: porre la tenda.
La tenda era strumento distintivo di un popolo di ceppo nomade che manteneva nel suo codex qualche traccia della sua remota origine errante.
Non è un caso se Gesù, appena nato, viene manifestato esclusivamente a due gruppi di persone peregrinanti, i Pastori e i Magi…
Questa estrazione nomade tramandava la duplice capacità di riuscire a fare casa dappertutto, senza mai dimenticare la dimensione precaria di ogni cosa.
Nella lettera a Diogneto queste due capacità vengono comprese come tipiche dei cristiani: «Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri».
La pandemia ci ha inchiodati in casa costringendoci a misurarci anche troppo con la malattia e le notizie di morte. Fermi e precari, instabili pur se installati.
Queste situazioni sono state in realtà delle provvidenziali occasioni di crescita, come sempre.
Saper stare in un luogo ma peregrinare nello spirito, scoprendo i mille dettagli della realtà. Non si sta mai veramente fermi se non quando si rifiuta di lasciarsi cambiare e di maturare.
Ma torna utile considerare l’altro aspetto, quello precario e vulnerabile.
Forse si guarda qualcosa fino in fondo solo quando si è consapevoli di vederlo per l’ultima volta. Come il giorno che si dà l’ultimo sguardo ad una casa quando la si sta per lasciare definitivamente: allora si vedono le gioie vissute, i dolori e le occasioni sprecate, quando il tempo diviene visibile in un istante.
Questo sarebbe lo sguardo da dare ad ogni giorno della vita, perché ineluttabilmente lo lasciamo e non tornerà mai più. Il 2020, ad esempio, non tornerà mai più.
Se lo abbiamo vissuto come in una tenda, buon per noi.
Bisognava imparare a guardare tutto in modo profondo, per lasciarsi cambiare e non sciupare le occasioni per amare, che passano veloci. Stare nella tenda, pronti a partire.
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