· Città del Vaticano ·

Riedizione degli articoli di cronaca nera

Dino Buzzati e la consapevolezza

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28 dicembre 2020

La scrittura di Dino Buzzati è tanto varia, ricca, imprevedibile, da risultare praticamente inclassificabile. Dal grande romanzo, ai formidabili racconti, dalle cronache sportive, a quelle militari, dalle cronache metropolitane al fumetto, alla poesia; e poi ancora, la sorprendente pittura, il teatro. Forse per questo tanta critica distratta, ha tardato a riconoscere a Buzzati il valore assoluto e il ruolo di maestro che invece merita nella grande letteratura del Novecento.

Così pur tanto letto e amato, in Italia soltanto in tempi più recenti, si è potuto dire senza dubbio di smentita che occupi un posto di assoluto rilievo nella nostra letteratura (non così all’estero, si pensi alla Francia che da subito lo ha riconosciuto come un grande del suo tempo). E del resto, dotato, non solo di un formidabile ingegno immaginifico, ma anche di una voce narrante sicura, autorevole, affidabile, l’autore mantiene sempre il patto con il lettore, senza mai tradire il credito attribuitogli.

Perché la sua narrazione è credibile, aderente alla realtà del vivere, ma pure sempre protesa verso il fantastico. Forse per questo, in passato una critica semplicistica ha spesso affiancato Buzzati a Kafka, come se ne costituisse la maschera italiana. Ma mentre per lo scrittore di Praga le bizzarie della vita rimangono nell’insondabile e nell’inspiegabile, per Buzzati, diventano elementi naturali, assolutamente normali del grande orizzonte dell’esistente (esiste davvero il Colombre, diventa storia l’invasione degli orsi in Sicilia); tutto insomma diventa plausibile, improvvisamente innegabile.

L’orizzonte dello scrittore si apre a Villa Buzzati, alle porte di Belluno, dove ha vissuto l’infanzia e poi vi ha fatto sempre ritorno, per un legame profondo e viscerale. In quell’ambiente naturale ha sviluppato il suo immaginario più fantastico, fonte di ispirazione per i grandi romanzi (si pensi a Barnabo delle montagne, Il segreto del bosco vecchio, agli scorci montani del Deserto dei Tartari), ma anche per molti racconti (Lo spirito del granaio, Conigli sotto la luna, Dolce notte, Bussano alla porta).

Poi però c’è Milano, la metropoli moderna, la vita di redazione del giornale, la quotidiana attesa e l’osservazione della cronaca. Quell’estenuante attesa che, come da lui stesso spiegato, ispirerà il mood del Deserto dei Tartari. Al «Corriere della Sera», Dino entra giovanissimo, facendo prima di tutto una intensa gavetta come reporter, che batteva ospedali e commissariati per raccogliere le notizie da rielaborare in redazione. Buzzati è un “doverista” (come lui si è autodefinito) nella vita e nel lavoro, attento e scrupoloso nell’annotare i fatti, i dettagli, le sfumature più significative. I suoi quindi, non sono mai semplici reportage, ma pezzi di grande giornalismo, ognuno la miniatura di una storia.

Mondadori, storico editore dell’opera del nostro, offre oggi al suo pubblico una straordinaria riedizione de La nera (Milano, Mondadori, 2020, pagine 690, euro 30), che raccoglie gli articoli che Buzzati ha scritto come cronista per il «Corriere della sera» e il «Corriere dell’informazione» in quasi trent’anni di carriera giornalistica. La nuova edizione — per la cura attenta e appassionata di Lorenzo Viganò — è ampliata e aggiornata e infatti accosta ai testi un ricchissimo e interessantissimo materiale iconografico. Si tratta degli appunti e dei disegni dello stesso Buzzati, e ancora pagine di giornale e foto d’epoca che illustrano gli eventi. Dall’arresto della banda Cavallero, alla sciagura di Albenga, dal delitto di Rina Fort, alla tragedia in cui morì l’intera squadra di calcio del Torino sulla collina di Superga, alla catastrofe della diga del Vajont. La prima sezione è dedicata alla cronaca nera più classica (“Crimini e misteri”), e quindi omicidi, rapine, misteri, suicidi; la seconda (“Incubi”) racconta invece le tante tragedie che hanno tristemente segnato la storia italiana del Novecento.

Drammi che nella penna di Buzzati diventano veri e propri racconti; si direbbe, tutti buoni per un romanzo! Ne emerge un grande affresco dell’Italia del dopoguerra fino agli anni Settanta, anni di grandi cambiamenti, non solo il babyboom, il boom economico, ma anche le radici di quella mutazione antropologica degli italiani, che (previsto da un altro visionario, Pasolini), esploderà negli anni Ottanta. Con grande onestà di sguardo, l’autore dà testimonianza dei fatti, senza ombra ideologica, senza moralismi, anzi con la più trasparente e consapevole accettazione di quanto cruda sia la realtà dell’animo umano (ricorda un po’ Simenon e lo sguardo del suo Maigret sulla Parigi criminale).

Pagine dure, commoventi, dolorose, nelle quali l’autore coglie gli aspetti intimi di una società, ne svela i segreti e i tormenti, indagando quello che di più nascosto ma anche naturale si muove nell’animo dell’uomo, sia vittima che carnefice. Buzzati, com’è noto, si professò sempre non credente, eppure innegabilmente intenso e profondo è in lui il senso del mistero, tanto da renderlo sempre in prossimità dell’idea di Dio.

In tutta la sua opera si percepisce la tangibile presenza del mistero che abbraccia la vita nella sua meravigliosa e inafferrabile complessità, insomma quel grande Mistero su cui lo scrittore si è sempre affacciato senza mai riuscire ad abbandonarsi pienamente (cosa che invece lascerà fare al tenente Drogo, nel finale splendido del Deserto dei Tartari). E la consapevolezza di un “oltre” è forse la vera matrice di una visione così attenta e sensibile, di uno sguardo che nulla abbandona e che anzi, accoglie anche la cronaca più “nera” dei fatti della vita.

di Nicola Bultrini