Si può comunicare ascoltando? Viviamo in un tempo nel quale sembra che se non abbiamo l’ultima parola abbiamo “perso” nella comunicazione. Lo vediamo ogni giorno nei talk show televisivi e nei dibattiti tra esponenti politici. Lo sperimentiamo personalmente sui social network (la piazza più frequentata oggigiorno), dove se non pubblichiamo l’ultimo tweet o il post conclusivo, sembra che usciamo sconfitti da una conversazione, qualsiasi ne sia stato il tema. Papa Francesco ha ribaltato questo paradigma funzionalista della comunicazione, che considera il comunicare un’arma per vincere contro l’altro e lo ha riportato al suo valore primario: uno dono, un’opportunità, che ci aiuta a crescere insieme all’altro. Conseguenza immediata di questa logica “altruista” è che il comunicatore non prevale sul messaggio che vuole trasmettere. Anzi, questo aumenta di forza quanto più chi lo annuncia “si fa da parte”.
Ecco allora che in Francesco il silenzio e perfino l’immobilità (un paradosso nell’era dei mass media sempre alla ricerca di suoni e movimento) diventano amplificatori di senso. Quanti abbiamo avuto il privilegio di seguire la visita di Francesco ad Auschwitz-Birkenau, il 29 luglio del 2016, siamo stati toccati dalla sua preghiera silenziosa, che è sembrata durare un tempo interminabile. Meglio di qualsiasi discorso, quel silenzio ha saputo trasmettere la sofferenza e lo sgomento per il dolore che quel luogo porterà sempre con sé, ma al tempo stesso anche la necessità di fare memoria, di non dimenticare l’orrore inaudito dei campi di sterminio. Trascorrono quattro anni. Altro “silenzio che parla” in un altro momento drammatico della nostra storia. È il 27 marzo di quest’anno: il Papa da solo in una piazza San Pietro vuota, prega sotto il Crocifisso ligneo di San Marcello e l’icona della Salus Populi Romani. Quella celebrazione, in un contesto quasi surreale, resta tra le immagini più forti della pandemia. Il giorno dopo, la foto del Papa in preghiera campeggia sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Il messaggio ha travalicato il perimetro della fede cattolica e si è fatto interprete delle angosce e delle speranze di tutta l’umanità.
Per la “comunicazione controcorrente” di Francesco, l’ascolto è una componente fondamentale, sorgiva. Non a caso, in questo periodo segnato dall’impossibilità di muoversi e dalla drastica riduzione delle persone incontrate, il Papa — con quella “creatività dell’amore” a cui spesso fa riferimento — ha dedicato molto tempo a raggiungere la gente attraverso uno strumento antico di comunicazione che non passa di moda: il telefono. Non si contano le chiamate che Francesco ha compiuto, nei mesi di lockdown, a persone sofferenti, malati di covid-19, anziani, e ancora infermieri e giovani (ad esempio quelli dell’oratorio di Nembro, una delle zone più colpite dal virus), che si sono rimboccati le maniche per aiutare quanti sono in difficoltà. Sono telefonate, quelle di Jorge Mario Bergoglio, più per ascoltare le esperienze che per offrire indicazioni. «Questo — ha detto intervistato da una rivista spagnola — mi ha aiutato a tenere il polso di come le famiglie e le comunità stavano vivendo il momento».
D’altro canto, già nel 2016, Francesco aveva sottolineato che ascoltare «è molto più che udire», «ascoltare significa prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di dare valore, rispettare, custodire la parola altrui». E sempre in quell’anno, durante il viaggio internazionale in Messico, parlando ai giovani della città di Morelia aveva detto che quando un coetaneo si trova in difficoltà, bisogna metterglisi accanto, ascoltando. «Non dire ti do la ricetta — ha sottolineato — ma dagli forza con il tuo ascolto, quella medicina che si sta dimenticando, l’ascolto-terapia». Serve un «apostolato dell’orecchio», ha detto ancora durante il Giubileo della Misericordia. Formula che sembra riecheggiare l’esortazione di Francesco d’Assisi ai suoi frati: «Inclinate l’orecchio del cuore». Pier Paolo Pasolini, dopo aver incontrato Madre Teresa, disse di lei che «il suo occhio dove guarda, vede». In qualche modo, Francesco, nella sua dimensione di comunicatore, “dove sente, ascolta”. Ascoltare, per lui, ha a che fare con l’abc della relazione umana. Necessita di tempo, richiede pazienza, il tempo giusto per avvicinarsi all’altro, accorciando le distanze e superando i pregiudizi. Atteggiamento che a volte spiazza, ma che è perfettamente coerente con la visione di una Chiesa in uscita e Ospedale da campo di cui si fa interprete e testimone in prima persona. «Comunicare — ha scritto del resto Francesco — significa condividere e la condivisione richiede l’ascolto».
In molti si chiedono dove risieda il segreto del successo comunicativo del Papa, che a quasi 8 anni dalla sua elezione resta intatto come, tra l’altro, hanno dimostrato le omelie delle Messe mattutine in streaming durante la pandemia, seguite da milioni di persone in tutto il mondo. Forse il “segreto” sta proprio in questo suo rimettere al centro il valore autentico della comunicazione, centrata sull’uomo e non sul mezzo. Il valore di un potere “paradossale” che tanto più cresce quanto più si riduce mettendosi al servizio dell’altro, un potere della prossimità. Anche nella comunicazione, quindi, il Pontefice ci chiede di seguire il modello del Buon Samaritano. Non a caso, nel suo primo Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, scrive che la parabola del Buon Samaritano «è anche una parabola del comunicatore» perché chi comunica «si fa prossimo». Con le parole e con i gesti, Francesco ci dice quotidianamente che bisogna “rischiare” per comunicare, rischiare per il prossimo proprio come ha fatto, sulla via da Gerusalemme a Gerico, quell’uomo della Samaria. Per il Papa, non dobbiamo avere paura di fare spazio all’opinione dell’altro, alle sue proposte, anche ai suoi interrogativi cogliendo il buono di cui ognuno è portatore. Solo così, infatti, riconoscendosi Fratelli tutti, potremo costruire un futuro migliore, degno della nostra comune umanità.
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