· Città del Vaticano ·

Riflessioni ebraiche mentre i cristiani celebrano il Natale

Su salvezza e redenzione

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21 dicembre 2020

Tra i concetti biblici centrali alla fede sia d’Israele sia della cristianità ci sono la redenzione (geulah) e la salvezza (yeshuah). Sebbene i due termini vengano spesso utilizzati in modo casuale e intercambiabile, nella tradizione ebraica vi sono alcune distinzioni che vale la pena evidenziare. Mentre salvezza si riferisce alla liberazione dell’essere umano dall’oppressione inflittagli da altri (Esodo, 14, 13; Salmi, 14, 7), o da un’oppressione inerente al dramma della condizione umana (Salmi, 62, 2), redenzione sembra alludere al ritorno a una situazione ideale del passato che è stata compromessa o persa. In Levitico, 25 la parola geulah è applicata al riscatto dei beni e alla loro restituzione ai proprietari originali. Ciò ristabilirebbe la visione ebraica di una società ideale dove la terra o i beni erano divisi in modo equo tra le famiglie per renderle autosufficienti. Secondo la comprensione ebraica, la redenzione, anche se in ultima analisi proviene da Dio, esige gli sforzi collaborativi di Dio e dell’umanità. Dio ha rivelato a Mosè l’intenzione divina di redimere i Figli d’Israele dall’Egitto e ripristinare la loro libertà (Esodo, 6, 6), ma questo disegno richiedeva che Mosè incoraggiasse il popolo ebreo a lasciare la terra della sua schiavitù.

La salvezza, invece, è una rivelazione o un atto del Creatore nel quale l’ebreo deve riporre la propria fede e speranza. Il Talmud (b. Shabbat, 31, a) parla di sei domande che il tribunale celeste pone a ogni ebreo morto. Una di questa è: hai creduto nella salvezza di Dio e l’hai attesa? Si noti che la salvezza deve essere attesa, mentre la redenzione va perseguita attivamente. Anche il concetto di un messia unto per anticipare il disegno di Dio è importante qui. Secondo alcune interpretazioni ebraiche, in Isaia, 11 è la prima volta in cui l’idea di un futuro messia appare nella Bibbia in riferimento a un re d’Israele. Tale individuo viene prefigurato come un discendente di David che regnerà in un tempo di giustizia e di conoscenza universale di Dio. Nel capitolo successivo Isaia parla di salvezza. In questi passi si può notare l’intima relazione tra le due parole mashiach e yeshuah (messia e salvezza).

Col tempo il pensiero messianico ha finito con l’essere collegato tanto all’interpretazione della salvezza quanto a quella della redenzione. È stato discusso nel giudaismo sia prima sia dopo il tempo di Gesù. Alcuni passi dei rotoli del Mar Morto si riferiscono a molteplici messia (per esempio 1 QS, 9.10-11), e un unico frammento sembra fare riferimento a un messia che risuscita i morti (4 Q, 521). Il Talmud presenta diverse opinioni sulla venuta di tale figura (b. Sanhedrin, 98, b). Mentre i cristiani iniziano a prepararsi a celebrare la nascita di Gesù di Nazareth, potrebbe essere utile ricordare che il suo nome deriva indubbiamente da Yeshua, che significa “Dio salva” o “Dio, salva!” e che ha connotazioni messianiche. Di fatto, nel corso dei secoli la questione se il Messia era già venuto o se era ancora atteso ha diviso gli ebrei e i cristiani in schieramenti opposti. Sono state erette barriere di malintesi. I fattori politici, economici e sociali hanno promosso tra loro un rapporto di animosità, con il risultato che erano pochi gli stimoli a cercare il cammino del dialogo sul quale trovare solo l’amore di Dio e della persona umana, anche nel disaccordo.

Ora, come ha detto Papa Francesco, è iniziato un nuovo “cammino di amicizia” tra le due comunità grazie alla Nostra aetate e all’impegno costante di tutti coloro che si adoperano per trasformare tale documento in una realtà viva.

Possiamo adesso imparare gli uni dagli altri che ebrei e cristiani attendono, nei loro diversi modi, la pienezza della salvezza per l’intero creato. Dalla prospettiva ebraica, il concetto di “redenzione” chiede e impone a entrambi di lavorare insieme per correggere, con l’aiuto dell’Eterno, ciò che ha preso una strada sbagliata. Senz’altro l’attuale pandemia globale, le crisi economiche, il razzismo e la divisione diffuse, come anche la fame e la mancanza di un tetto, esigono che cerchiamo di “redimere” la situazione, di adoperarci per restituire il mondo al disegno che Dio ha per lui. In questa comprensione del processo di redenzione, agli esseri umani compete un ruolo attivo perché, secondo i Saggi, agendo con giustizia e rettitudine diventano collaboratori di Dio nel completare la creazione dell’universo (b. Shabbat, 10, a; 119, b).

Sebbene come ebreo io non condivida le convinzioni della Chiesa su Gesù Cristo, prego affinché la celebrazione della sua Natività ispiri una spiritualità attiva, redentiva, che contribuisca a guarire il mondo. A tutti i nostri fratelli e sorelle cristiani, auguri sinceri di «Buon Natale!».

di Abraham Skorka