· Città del Vaticano ·

Charles de Foucauld, «fratello di tutti»

La lezione di un uomo
che non si è mai rassegnato

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19 dicembre 2020

Mio Dio, come sei buono — La vita e il messaggio di Charles de Foucauld è il titolo del libro di Andrea Mandonico pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in «edizione speciale per la canonizzazione». Dal volume è tratta la prefazione a firma del rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma che pubblichiamo di seguito.

«Assomigliare a te, condividere le tue opere, è questa la gioia più grande per il cuore che ti ama. Assomigliare, imitare è un bisogno violento dell’amore; è uno dei gradi di quell’unione cui mira di natura sua l’amore. La somiglianza è la misura dell’amore».

Sono queste le parole di Fratel Carlo che mi sono venute alla mente, quando padre Andrea Mondonico mi ha detto che Charles de Foucauld sarebbe stato proclamato “santo”.

O meglio — per essere precisi — quando mi comunicò la prossima “canonizzazione” di Fratel Carlo. “Canonizzare” è il termine preciso per indicare che uno viene proclamato “Santo” dalla Chiesa. E ciò ha un significato profondo.

Il canone è un modello, qualcosa che non si cambia e che si prende per ripeterlo continuamente: vengono in mente i canti a canone, quelli per cui si ripete a cori diversi una strofa e la stessa strofa del canto si insegue una dopo l’altra, cantata da voci diverse, in successione diversa, sino alla conclusione, quando le voci dei vari cori si fondono in un grandioso e solenne finale.

Canonizzare vuol dire proporre una persona come modello di autentico cristiano. Vuol dire indicare una persona, uomo o donna, che ha incarnato nella sua vita con pienezza il Vangelo e proprio per questo può essere proposta come modello convincente agli altri fratelli e sorelle, a tutti noi.

Per questo è il Papa a canonizzare, perché egli indica quel fratello o quella sorella come “modello prezioso” di cristiano, modello da imitare e lo fa con l’autorità che gli viene dal suo ministero di successore di Pietro e di guida della Chiesa.

Charles de Foucauld è, dunque, un modello autentico di cristiano, un esempio anche per me, e per chiunque si ponga la domanda: «Ma come faccio a diventare santo? Dio nella Bibbia — penso al capitolo 19 del Levitico — chiama tutti ad essere santi. Ma come diventarlo?».

In fondo, abbiamo tutti bisogno di modelli: ne ha bisogno l’artista per dipingere un quadro o scolpire una statua. Ne ha bisogno l’ingegnere o lo scienziato che — aiutato oggi dai computer — prepara un “modello”, un “progetto”, per verificarne la possibilità e affidare ai suoi collaboratori la sua realizzazione. Ne ha bisogno lo studente per imparare: si leggono le poesie dei grandi poeti o i romanzi dei grandi autori per imparare a scrivere, per avere un modello di scrittura. Ne ha bisogno il bambino per diventare uomo: ognuno di noi ha il suo “eroe”, quello che da piccolo voleva imitare. Si diventa preti o suore o missionari perché normalmente si è incontrato un “modello”, un esempio, un prete o una suora o un missionario, che ci ha colpiti e che ci ha provocati e ci ha fatto nascere nel cuore la domanda: «Se lui è così, perché non potrei esserlo anche io?».

Per questo motivo, quando ho saputo che Padre Carlo sarebbe stato canonizzato ho ripensato alla frase che ho scritto all’inizio: «Imitare è un bisogno violento dell’amore. La somiglianza è la misura dell’amore».

Vale anche per me. È stato vero anche per me. Non solo nei confronti del Signore Gesù, che Fratel Carlo volle “imitare”, cui volle “assomigliare” con tutte le sue forze e tutto il suo desiderio: «Quando si ama, si imita, quando si ama, si guarda il Beneamato e si fa come fa lui; quando si ama, si trova tanta bellezza in tutti gli atti del Beneamato, in tutti i suoi gesti, in tutti i suoi passi, in tutti i suoi modi di essere, che si imita, si segue tutto, ci si conforma a tutto. È una cosa istintiva, quasi necessaria».

Il “Beneamato”. E un termine che oggi quasi si ha un po’ di pudore a pronunciare, mentre per Charles de Foucauld fu l’esigenza di tutta la sua vita, il desiderio che perseguì con tutte le sue forze e per il quale fu pronto a tutto e nel quale trovò tutto.

Per Gesù fu pronto a tutto: lasciò la sua vita agiata, abbandonò le sue comodità, i suoi stessi divertimenti, i suoi stessi vizi, perché fu “conquistato” da Cristo. Lasciò la sua patria, vagò per la Palestina e il deserto dell’Africa, vivendo solo dell’essenziale, perché aveva trovato tutto in Gesù.

Da adolescente aveva cercato la gioia, ma non l’aveva trovata. Ho riletto spesso la sua riflessione: «Facevo il male, ma non l’approvavo né l’amavo. Mi facevi sentire una tristezza profonda, un vuoto doloroso, una tristezza che non avevo mai provata che allora... mi ritornava ogni sera, quando mi trovavo solo nel mio appartamento... mi teneva muto e abbattuto durante ciò che si chiamano le feste: le organizzavo, ma, venuto il momento, le passavo in un mutismo, un disgusto, una noia infiniti... Mi davi quella inquietudine vaga di una coscienza cattiva, addormentata ma non del tutto morta e ciò bastava per mettermi un malessere che avvelenava la mia vita...».

Fino a che non trovò Gesù. E tutto cambiò. Dalla noia risorse all’entusiasmo: «Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per lui: Dio è così grande, c’è una tale differenza tra Dio e tutto ciò che non è lui...».

Forse è anche, o proprio per questo, che io amo san Charles de Foucauld: perché è uno che non si è mai accontentato; uno che non si è mai rassegnato; uno che ha sempre sperato.

Fratel Carlo non ha fatto processi alla società, al mondo del suo tempo, che è così simile al nostro, simile al tempo di tutti i tempi. Fratel Carlo preferì un altro modo di affrontare il presente; scelse un altro programma di vita: «Ecco il programma: amore, amore, bontà, bontà. Il mio apostolato deve essere l’apostolato della bontà. Vedendomi si deve dire: “Poiché quest’uomo è così buono, la sua religione deve essere buona”. Se si chiede perché io sono mite e buono, devo dire: “Perché sono il servo di uno assai più buono di me. Se sapeste com’è buono il mio padrone Gesù”». E ha avuto ragione.

È così facile oggi essere lamentosi, pessimisti, critici. Sembra che non vada mai bene niente. Anche tra noi cristiani sembra che il malumore sia più diffuso della “pace” e della serenità che Gesù ci ha promesso ed è venuto a portare.

Forse siamo annoiati e brontoloni, perché abbiamo perso — o è diminuito — l’entusiasmo, la convinzione di potercela fare a trasformare il mondo e noi stessi; a rendere bella la vita degli uomini e la nostra: «Tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere deve gridare il Vangelo sui tetti; tutta la nostra persona deve respirare Gesù, tutti i nostri atti, tutta la nostra vita devono gridare che noi apparteniamo a Gesù, devono presentare l’immagine della vita evangelica, tutto il nostro essere deve essere una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi Gesù, che faccia vedere Gesù, che risplenda come l’immagine di Gesù».

Egli ne fu convinto. Vorrei esserne sempre convinto anche io. Per questo amo san Charles de Foucauld.

di Ennio Apeciti