· Città del Vaticano ·

A colloquio con il direttore generale della Fondazione Migrantes

Protezione e solidarietà
per non fuggire più

Piccoli migranti ricevono le prime cure dopo lo sbarco
18 dicembre 2020

Mentre nel mondo si celebra la Giornata internazionale per i diritti dei migranti, istituita dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2000, in Italia si è da poco conclusa la Campagna straordinaria «Liberi di partire, liberi di restare» promossa nel 2017 dalla Conferenza episcopale italiana, desiderosa di rafforzare il proprio impegno a sostegno dei migranti. Utilizzando 27.529.890 euro dell’otto per mille, la campagna ha finanziato centotrenta progetti: centodieci, sostenuti con oltre 14 milioni di euro, sono stati avviati in Italia, Paese d’accoglienza, su proposta di associazioni, istituti religiosi, cooperative e diocesi. Nelle nazioni di transito dei migranti — Marocco, Albania, Algeria, Niger, Tunisia e Turchia — si è invece deciso di finanziare sette progetti con 4.284.600 euro, mentre in quelle di partenza — Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Guinea — le iniziative promosse sono state tredici e hanno richiesto 8.366.000 euro. Dello spirito e degli esiti di questa campagna dialoga con «L’Osservatore Romano» padre Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, coinvolta nell’iniziativa.

Quali sono stati i principali ambiti di intervento?

Abbiamo deciso di concentrare l’attenzione e quindi approvare e finanziare progetti educativi, sanitari, di avviamento e sostegno al lavoro. Sono state inoltre promosse campagne d’informazione circa i rischi di emigrare affidandosi ai trafficanti. In Italia abbiamo avviato articolati percorsi di accoglienza e di integrazione, e anche iniziative di accompagnamento per chi vuole tornare nel proprio Paese d’origine. Con questa imponente campagna abbiamo voluto indicare una strada percorribile, affinché altri possano seguire il cammino con fiducia sapendo che è giusto e possibile difendere sia il diritto a emigrare sia quello a restare nella propria terra. Come ha ben chiarito Papa Francesco anche nell’enciclica Fratelli tutti, tenere insieme questi due irrinunciabili diritti, riconosciuti e difesi già molti anni fa per tutelare gli italiani che migravano, è fondamentale. Ciò fa parte della dottrina sociale della Chiesa, non è una novità introdotta dall’attuale Pontefice.

Tutti i progetti si sono conclusi?

No, alcuni continuano anche perché, in diversi casi, sono stati rallentati a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia. Ad esempio, abbiamo deciso di offrire l’opportunità di venire a studiare in Italia a un gruppo di minori non accompagnati provenienti dalla Libia e condotti dall’Unhcr in un campo profughi del Niger. A Torino sono già state individuate le scuole e le famiglie che li accoglieranno, ma per il momento questi ragazzi sono bloccati in Africa.

Per coordinare le attività della campagna è stato costituito un “tavolo migrazioni”, formato da rappresentanti di Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Fondazione Missio, Apostolato del mare, Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del terzo mondo. Auspicate che questo metodo di lavoro sia preso a modello?

Sì, ce lo auguriamo vivamente. Nelle diocesi ogni ufficio ha proprie specifiche competenze ma occorre evitare di procedere separatamente, come forse si è tentati di fare. Per affrontare il complesso fenomeno delle migrazioni è necessario operare insieme, unire le forze. Questo metodo di lavoro dovrebbe a mio avviso diventare una consuetudine.

Come descriverebbe i legami nati in questi tre anni con le Chiese dei Paesi di transito e di partenza dei migranti con le quali avete lavorato?

Operando insieme, anno dopo anno, abbiamo costruito legami saldi, fondati sulla stima e l’affetto reciproci. Mi ha molto colpito quanto talune piccole Chiese dell’Africa siano desiderose non solo di ricevere aiuti ma anche di non sentirsi abbandonate, di stringere rapporti d’amicizia con la Chiesa italiana e più in generale con le Chiese sorelle d’occidente. Realizzare insieme i diversi progetti ci ha permesso di costruire fraternità e si è rivelato decisivo: per offrire risposte adeguate bisogna infatti guardare il fenomeno migratorio con due occhi, quello della riva nord del Mediterraneo e quello della riva sud. I vescovi dei Paesi africani, ad esempio, tengono molto a sottolineare quanto le migrazioni stiano drammaticamente impoverendo il loro continente, già pesantemente sfruttato. Questo impoverimento è un aspetto del fenomeno che sovente in Europa viene ignorato. Così come spesso qui si ignora o si minimizza la grande ricchezza spirituale e culturale che i migranti posseggono e offrono alle nostre società e anche alle nostre comunità cristiane, le quali dovrebbero essere più solerti nel ricevere, non solo nel dare.

La Campagna «Liberi di partire, liberi di restare» proseguirà in qualche nuova forma?

In un certo modo sì: anzitutto la Conferenza episcopale italiana continuerà a lavorare alacremente, con tutti i propri uffici, a sostegno dei migranti facendo tesoro della significativa esperienza maturata in Italia e in Africa grazie a questa campagna. Le finalità e lo spirito di «Liberi di partire, liberi di restare» sono inoltre stati ereditati dai vescovi che hanno preso parte all’incontro — destinato a non restare un unicum — «Mediterraneo, frontiera di pace» svoltosi nel febbraio scorso a Bari su iniziativa della Cei. Il tema delle migrazioni sarà dunque oggetto di riflessione, dialogo, confronto tra le conferenze episcopali dei Paesi che si affacciano sul Mare nostrum. Confidiamo che nel tempo maturino buoni frutti.

di Cristina Uguccioni