· Città del Vaticano ·

San Giovanni della Croce

Superare il limite della parola

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14 dicembre 2020

Il filosofo cattolico francese Maritain scriveva in una lettera — nel 1923 — all’ateo Jean Cocteau: «Nell’ordine naturale esiste un’ispirazione speciale al di sopra della deliberazione della ragione e che, come notava Aristotele, procede da Dio presente in noi: è l’ispirazione del poeta, e per questo egli è un uomo divino. Come il santo? No. Come l’eroe. (...) Le parole, i ritmi non sono per lui che la materia con la quale crea un oggetto per la gioia dello spirito e in cui brilla qualche riflesso della grande notte stellata dell’essere». E molte sono state le notti — buie o stellate — che Giovanni della Croce — santo, eroe, poeta — ha contemplato nella sua vita.

Poesia, partitura armonica di parole, polifonia di suoni e colori per elevarsi. E così facendo, volare verso Dio. Ricerca continua, intima, per ricongiungersi con l’Amato, lo Sposo. Anche san Giovanni della Croce è in ricerca delle stelle, con il suo testo Notte oscura, ossia i suoi “Canti dell’anima”. C’è pur sempre bisogno della “notte oscura” per spingersi nella ricerca: «In una notte oscura / anelante e d’amori infiammata / — oh felice ventura!— / uscii senz’essere vista / la casa mia essendosi acquietata».

Ma è possibile incastonare Dio nelle parole, nei versi poetici? Sarebbe un po’ come il bambino incontrato da sant’Agostino sulla spiaggia: possibile riempire la buca con l’acqua del mare? Il Mistero, dunque, in segni e lettere? Sublime dilemma, contraddizione assoluta, se ci pensiamo. Ce lo descrive bene Arduini — parlando del linguaggio poetico di Giovanni della Croce — nella sua introduzione al Cantico spirituale (Città Nuova, 2008): «Il linguaggio mistico vive la grande contraddizione dovuta al suo oggetto che è in sé non dicibile». In fondo, si sa, lo strumento stesso della poesia tout court è già di per sé contraddittorio. San Giovanni della Croce vive tutto questo. Vive questa contraddizione che — in fondo — è la realtà del cristiano: la contraddizione della Croce, del Discorso della Montagna, anche. Una delle più importanti lezioni della poesia di san Giovanni della Croce è proprio racchiusa in una contraddizione: bisogna uscire da sé stessi, per trovare il proprio animo, il proprio io, e — dunque — Dio. È necessario varcare la soglia. Lo dice l’incipit della sua Notte: «uscii senz’essere vista». Oppure è la contraddizione declamata della Salita al Monte Carmelo, al capitolo primo: «Per giungere dove sei, devi passare per dove non sei. Per giungere a possedere tutto, non voler possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non volere che essere niente».

Baudelaire scriveva: «È per mezzo e attraverso la poesia, per mezzo e attraverso la musica, che l’anima intravede gli splendori che ci sono al di là della tomba». San Giovanni della Croce arriva con i suoi versi oltre la tomba, oltre il confine delle parole. In fondo, una parola, un verso, sono già un limite. Ma lui, attraverso questo, giunge all’Illimitato: Dio.

di Antonio Tarallo