· Città del Vaticano ·

L’ex terrorista e il ragazzino nel nuovo romanzo di Daniela Grandinetti

Per uscire dal guscio

Hieronymus Bosch, «La visione di Tundalo» (1520-1530, particolare)
05 dicembre 2020

«Michele era un ragazzino con una storia difficile, era stato messo sulla mia strada come un albero spezzato che ti blocca in transito mentre sei alla guida». Una terrorista esce di galera dopo vent’anni e va a prestare la sua opera in una casa di accoglienza per minori, con l’obbligo di firma settimanale. Ha preso le armi in mano per motivi che vanno da un idealismo senza sconti alla presa di coscienza delle ingiustizie sociali, fin dagli anni delle elementari. Oriana, questo il suo nome, non cerca scusanti: nella clausura forzata ha imparato che i giudizi moralistici lasciano il tempo che trovano, e una sorta di asciutto fatalismo è divenuto il suo modus vivendi. Le mani in tasca (Viterbo, AughEdizioni, 2020, pagine 215, euro 14) di Daniela Grandinetti, già autrice dell’intrigante La malasorte, è l’asciutta, dettagliata ma nello stesso tempo fluida narrazione di tre figure che si incrociano negli anni di piombo: una donna che sceglie la lotta armata, un giovane che la ama e un ragazzino che viene da una storia domestica fatta di droga e sporcizia.

Grandinetti riesce anche stavolta a dare voce a chi si è spinto ai margini, senza scorciatoie, lasciando parlare i fatti e le voci profonde, dolenti, dei personaggi. Se in La malasorte si era stagliata la figura di una bambina vittima sacrificale di una società che potremmo definire arcaica se non si trattasse di un passato recente, in cui il povero è oggetto dell’arbitrio del potente, Le mani in tasca sono la narrazione di una sconfitta di molti: dello Stato, che non fu in grado di dare risposte decise allo stragismo degli Ottanta, di chi, come Dario, prese il treno sbagliato nel momento sbagliato (quello che saltò in aria il 2 agosto 1980), di chi pensò di affrettare la rivoluzione imbracciando le armi, e anche di chi, come Michele, si è trovato gettato nella vita in una famiglia in cui i genitori sono vittime — e carnefici — delle droghe.

Ma la storia di Le mani in tasca nasconde qualcosa d’altro, che è parte integrante di quelle sconfitte e che però rappresenta anche la ricostruzione: sociale, personale, affettiva. Nel mondo del volontariato la partecipazione emotiva subentra alla costrizione legale, ed emerge finalmente una strada che sembrava impossibile. Un ragazzino cresciuto nell’immondizia e nella violenza è l’inconsapevole artefice della rinascita dell’ex terrorista che sembrava avviata a una vita di recriminazioni o riflessioni amare sul non senso dell’esistenza. In questo rovesciamento di ruoli e prospettive sta la forza di un romanzo che non conosce scorciatoie.

La vita da reclusa è descritta in tutta la sua fisicità e nel suo impietoso accadere, con le sue violenze e i suoi spazi in cui porsi domande senza risposte. L’amore negato, quello che avrebbe potuto legare Dario e Oriana, rinasce dove non ti aspetteresti, sotto forme diverse da quelle sempre paventate dalla protagonista: la violenza, la sopraffazione, la noia, i ruoli. Nasce in un centro di accoglienza in cui fa la sua apparizione l’innocenza allo stato puro, quella dello sguardo perduto di chi, a 11 anni, ha conosciuto l’opposto di ciò che un ragazzino di quell’età dovrebbe vedere e subire. L’obbligo, diventato volontariato interiore, risuona di un motivo profondo: quel bisogno di uscire dal guscio, dalla protezione autoimpostasi per nascondere la paura di essere feriti, che accomuna il ragazzino e la terrorista. «Io e Michele eravamo uguali: due scrigni chiusi in fondo a un mare di luce».

La rinascita dell’amore (e questa capacità amebica di manifestarsi in modi così differenti è colta puntualmente dalla narrazione) permette finalmente al sentimento, depurato dal possesso, di uscire alla luce. E diventa gioia, accettazione di sè, finalmente, coscienza di avere intrapreso la strada del vero cambiamento, che è quello del darsi gratis e senza se e ma.

Le storie narrate da Grandinetti divengono tutt’uno con la Storia, senza perdere quella leggera aura di favola dolente esemplata dalla voce fuori campo del ragazzo innamorato di Oriana e vittima a Bologna, che guarda dal cielo la nuova vita che nasce dall’incontro in una casa di accoglienza e chiude il romanzo in un modo davvero inusuale nel nostro panorama narrativo, in grado di raccontare la nascita della speranza anche là dove sembrerebbe che la follia l’abbia cancellata.

di Marco Testi