· Città del Vaticano ·

Prima meditazione di Avvento

«Laudato sii
per sora nostra morte»

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04 dicembre 2020

«Laudato sii, mio Signore, per sora nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scappare: guai a quelli che morranno nei peccati mortali; beati quelli che troverà nelle tue santissime volontà, ché la morte seconda non farà loro alcun male». Da francescano, ha scandito i versi del Cantico delle creature — con il saio cappuccino addosso — il cardinale Raniero Cantalamessa che, come predicatore della Casa Pontificia, ha proposto ai “fratelli tutti” — venerdì 4 dicembre — la prima meditazione di Avvento, centrandola sulla “verità eterna” di “sorella morte”.

Alla presenza di Papa Francesco, la predica ha avuto inizio alle 9 nell’aula Paolo vi — una prima volta — dove in un clima di sobria e, appunto, francescana familiarità è garantito un opportuno distanziamento tra i partecipanti: sono stati invitati personalmente anche i dipendenti della Curia romana e del Vicariato di Roma. «Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore» (Salmo 90, 12) è il tema scelto dal predicatore per le tre meditazioni: le prossime le proporrà venerdì 11 e venerdì 18.

E stamani — dopo la preghiera, accanto al grande crocifisso ligneo — il cardinale ha preso le mosse dalle otto parole poeticamente scelte da Giuseppe Ungaretti per descrivere lo stato d’animo dei soldati in trincea durante la prima guerra mondiale — «Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie» — per descrivere il «senso di caducità» che «l’umanità intera» sta vivendo «a causa della pandemia». Rilanciando il pensiero di san Gregorio Magno — «Il Signore a volte ci istruisce con le parole, a volte invece con i fatti» — il predicatore ha proposto, proprio «nell’anno segnato dal grande e terribile “fatto” del coronavirus, di raccogliere l’insegnamento che ognuno di noi può trarre per la propria vita personale e spirituale». Si tratta, ha fatto notare, di «riflessioni che possiamo fare tra noi credenti, ma sulle quali sarebbe forse controproducente insistere troppo presso la gente, per non accrescere le difficoltà che la fede incontra a causa del prolungarsi della pandemia».

«Le verità eterne sulle quali vogliamo riflettere — ha spiegato — sono: primo, che siamo tutti mortali; secondo, che la vita del credente non finisce con la morte perché ci attende la vita eterna; terzo, che non siamo soli sulla piccola barca del nostro pianeta, perché il “Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”». E se «la prima di queste verità è oggetto di esperienza, le altre due sono oggetto di fede e di speranza».

«Della morte — ha affermato — si può parlare o in chiave kerigmatica o sapienziale. Il primo modo consiste nel proclamare che Cristo ha vinto la morte. Il modo sapienziale o esistenziale consiste invece nel riflettere sulla realtà della morte così come si presenta all’esperienza umana per trarne lezioni per vivere bene».

Ed è questa la prospettiva suggerita dal predicatore, che ne ha ripercorso i tratti nella Bibbia, nei padri del deserto fino all’Imitazione di Cristo, senza trascurare il riferimento ad Alfonso Maria de Liguori e a molti altri santi.

«Il modo sapienziale di parlare della morte si riscontra in tutte le culture ed è presente, secolarizzato, anche nel pensiero moderno» ha detto il porporato, indicando «le conclusioni cui sono giunti due pensatori la cui influenza è tuttora forte nella nostra cultura: Jean-Paul Sartre e Martin Heidegger».

«Sartre ha rovesciato il rapporto classico tra essenza ed esistenza — ha spiegato — affermando che l’esistenza viene prima ed è più importante dell’essenza». In pratica «non esiste un ordine di valori oggettivi e anteriori a tutto» — Dio, il bene, i valori, la legge naturale — a cui «l’uomo deve conformarsi», perché tutto «parte dalla propria individuale esistenza e libertà». Ma «cosa può progettare l’uomo se non sa neppure, né dipende da lui, se domani sarà ancora in vita?».

«Più credibile, su questo punto — ha affermato il cardinale Cantalamessa — è il pensiero di Heidegger, che pure parte da premesse analoghe e si muove nello stesso alveo dell’esistenzialismo. Definendo l’uomo “un-essere-per-la-morte”, fa della morte la sostanza stessa della vita. Si nasce per morire, non per altro». E così «ogni tentativo di progettarsi e elevarsi è un salto che parte e finisce nel nulla».

Sant’Agostino, in realtà, aveva già risposto «in anticipo» ai due pensatori, con «una conclusione totalmente diversa: non il nichilismo, ma fede nella vita eterna».

La pandemia, ha proseguito il predicatore «è venuta a ricordarci quanto poco dipende dall’uomo progettare e decidere il proprio futuro, fuori della fede». E «non c’è punto migliore in cui collocarsi per vedere il mondo, se stessi e tutti gli avvenimenti, nella loro verità che quello della morte».

«Il mondo appare spesso un groviglio inestricabile di ingiustizie e disordine» ha riconosciuto. E «la morte è la fine di tutte le differenze e le ingiustizie che esistono tra gli uomini» ha insistito. Totò ne parlava come di una “livella” che «azzera tutti i privilegi: quante guerre, quante crudeltà in meno si commetterebbero sulla terra se i violenti e gli oppressori dei popoli pensassero che anche loro presto dovranno morire». Ecco perché, ha suggerito, «guardare la vita dal punto di osservazione della morte dà un aiuto straordinario a vivere bene».

«Un altro ambito in cui abbiamo urgente bisogno di “sorella morte” per maestra, oltre il campo ascetico, è l’evangelizzazione» ha incalzato il cardinale. «Il pensiero della morte — ha detto — è quasi l’unica arma rimasta per scuotere dal torpore una società opulenta». Del resto, ha spiegato, «l’interrogativo sul senso della vita e della morte svolse un compito notevole nella prima evangelizzazione dell’Europa e non è escluso che possa svolgerne uno analogo per una sua ri-evangelizzazione». Infatti «fu l’interrogativo posto dalla morte che aprì la strada al Vangelo, come una breccia sempre aperta nel cuore dell’uomo. Il rifiuto della morte, non l’istinto sessuale, sta alla base di tutto l’agire umano, ha scritto lo psicologo Becker contro Freud».

Con un’avvertenza: Gesù «è venuto a liberarci dalla paura della morte, non ad accrescerla. Bisogna però avere conosciuto questa paura per esserne liberati». Il Signore «è venuto a insegnare la paura della morte eterna a quelli che non conoscevano che la paura della morte temporale».

Forte del suo carisma di religioso cappuccino, il cardinale Cantalamessa ha riproposto l’esperienza di Francesco d’Assisi: «La sua morte fu davvero un passaggio pasquale, un transitus, come viene celebrato nella liturgia francescana. Quando si sentì vicino alla fine esclamò “ben venga, mia sorella morte!”. Eppure nel suo Cantico delle Creature, accanto a parole dolcissime sulla morte, egli ne ha alcune terribili: “Guai a quelli che morranno nei peccati mortali”».

«Istituendo l’Eucaristia Gesù anticipò la propria morte e noi possiamo fare lo stesso» ha concluso il predicatore. Anzi, «Gesù ha inventato questo mezzo per farci partecipi della sua morte, per unirci a sé. Partecipare all’Eucaristia è il modo più vero, più giusto e più efficace di “apparecchiarci” alla morte. In essa noi “facciamo testamento”: decidiamo a chi lasciare la vita, per chi morire».