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Appunti di viaggio
Il coraggio di Neve Shalom

I sogni non bruciano

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04 dicembre 2020

Isogni non bruciano. Il villaggio di Neve Shalom/ Wahat Al-Salam (Oasi di pace) — l’unico luogo in Israele dove cittadini ebrei e cittadini arabi vivono insieme e in una condizione di assoluta eguaglianza — ha già ripreso a pieno ritmo le sue attività di incontri e di collaborazione tra giovani e professionisti delle due componenti del paese, dopo che due incendi dolosi, in rapida successione, hanno mandato in cenere lo scorso settembre la “scuola della pace” e danneggiato la biblioteca.

«La nostra è una storia di continue ripartenze, di resistenza di fronte alla difficoltà, Non lasceremo certo vincere chi ci vuole distruggere» spiega dal villaggio israeliano Nava Sonnenschein, per decenni responsabile della Scuola della pace, in una diretta web organizzata dalla rivista «Terrasanta» e dall’Associazione italiana di amici di Neve Shalom/Wahat Al-Salam. Anzi, i workshop, in cui si incontrano studenti, ambientalisti, avvocati, psichiatri, esperti di pianificazione territoriale sia ebrei che arabi non sono mai cessati. Certo, a causa della pandemia di covid-19, si lavora molto via internet ma continuano anche i corsi in presenza.

Lo scorso fine settimana, ad esempio, artisti ebrei e arabi hanno partecipato ad un workshop negli spazi all’aperto di questo villaggio che sorge su una collina di eucalipti a metà strada tra Tel Aviv
e Gerusalemme.

Oasi di pace sin dalla sua nascita ha creato scandalo e provocato rappresaglie. Fu fondato agli inizi degli anni ’70 — come risposta al carico di odio lasciato dalla guerra del 1967 — da un personaggio straordinario di nome Bruno Hussar, un ebreo nato e vissuto per 18 anni in Egitto, trasferitosi in Francia, divenuto cattolico e frate domenicano e immigrato infine in Israele. L’idea era quella di creare un luogo in cui ebrei e arabi avessero l’opportunità di vivere in modo ravvicinato, sforzandosi di conoscersi e di capirsi.

Qualcosa di inconcepibile per un Paese sempre più polarizzato come Israele, il cui territorio è un susseguirsi di villaggi monoetnici, o arabi o ebrei, mentre nelle città la popolazione è inquadrata in strutture urbane che separano più che unire. La regola è la selezione accurata, a propria immagine, del vicino di casa. Non fu facile trovare famiglie ebree o arabe disposte a vivere con il “nemico”. Poi, piano piano, arrivarono i primi temerari. Alle case in lamiera si sostituirono villette in muratura e cominciò un esperimento di convivenza paritaria anche nei numeri, mai facile e scontata, perché le ferite si riaprono ad ogni passo. In quasi cinquant’anni, quasi nessuno però ha ceduto. Anzi, gli abitanti lanciarono due iniziative: costruirono nel villaggio la prima scuola bilingue e biculturale in Israele (una nazione dove, nonostante ci sia una minoranza araba del 20 per cento, esistevano solo scuole per ebrei e scuole per arabi); e diedero vita alla Scuola della pace dove ebrei e arabi, non residenti a Neve Shalom , accettano di incontrarsi, di raccontarsi , di trascorrere alcuni giorni insieme. All’inizio erano soprattutto ragazzi. Non rifiutavano la sfida di rapportarsi con l’altro, nonostante un background di odio, e finivano spesso per stemperare gli stereotipi e riconsiderare la propria identità. Da 15 anni, la Scuola della pace si dedica anche ai professionisti, ai giovani adulti ebrei e arabi disponibili a creare reti di collaborazione. Sono in migliaia. Nel frattempo il villaggio è arrivato alla sua seconda e terza generazione: «I nostri figli — ci racconta Nava Sonnenschein — vorrebbero tutti tornare a vivere a Neve Shalom e fare crescere qui i loro figli. Purtroppo non c’è spazio. Siamo però fieri di loro perché sono cresciuti con ideali di pace, di giustizia e di accettazione dell’altro». Hussar è morto nel 1996 ma il suo sogno va avanti. «In Israele chi non sogna non è realista», diceva del resto David Ben Gurion, il “padre” della Nazione.

di Elisa Pinna