· Città del Vaticano ·

Copricapi realizzati dalle detenute per le malate oncologiche

La vita sotto il turbante

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25 novembre 2020

Da due poli negativi, nasce sempre uno positivo. Ovvero come il connubio carcere e malattia può generare lavoro, promuovere solidarietà e, soprattutto, donare un sorriso e una speranza a chi soffre. Dietro le sbarre e fuori. Parola di Francesca Brunati, fondatrice dell’associazione Go5 per mano con le donne che, con le detenute di San Vittore, realizza turbanti per le pazienti sottoposte a chemioterapia. «Un simbolo di solidarietà femminile, di integrazione sociale e di coraggio sia per le ristrette, sia per le malate oncologiche che stanno affrontando il proprio percorso» spiega. «Il progetto è dedicato a Cristina, tra le pioniere di G05, che da subito ha creduto in questa avventura e che è mancata a ottobre 2019» racconta Brunati. Un progetto nato per affiancare le donne malate e le loro famiglie fornendo informazioni sull’organizzazione e sui servizi disponibili presso l’Istituto nazionale dei tumori; per organizzare iniziative dedicate al benessere delle pazienti oncologiche e, non ultimo, per offrire alle pazienti un servizio di supporto psicologico per superare le difficoltà che la malattia comporta. «Ricordo il giorno in cui sono andata a proporre questa idea alle ospiti» rivela Brunati. «Reazione? Entusiasmo misto a commozione. Non dimenticherò mai il volto di una ragazza che scoppiò in lacrime pensando ad una sua parente che si era ammalata e che stava lottando contro il cancro. Non sono mancate le grandi soddisfazioni che ci hanno riempito il cuore e spinto ad andare avanti. Una su tutte, la sfilata con le detenute, le modelle professioniste e, con loro, avvocatesse e giudici». La scelta del turbante non è stata casuale e riporta ad esperienze vissute in prima persona: «Io e Cristina lo abbiamo indossato quando eravamo in cura. Abbiamo pensato che quel copricapo, se confezionato con materiali di qualità e opportunamente colorato, avrebbe regalato un momento di spensieratezza a chi lo avrebbe indossato. Ovviamente lo abbiamo prima testato noi». L’iniziativa vuole proporre un messaggio di benessere per chi sta dentro una malattia e per chi sta dentro un carcere. «Anche perché le donne detenute in questo modo riescono anche a gettare un ponte fuori dalle sbarre. Grazie a questa attività possono avviare un dialogo con la città e con le donne. Diventa per loro anche uno strumento di integrazione sociale» riprende Brunati. Nella filiera lavorano le ragazze di San Vittore, quelle in semi libertà e le stesse pazienti.

Il lockdown non ha fermato le ragazze di Go5, tanto è vero che hanno sostenuto il progetto «Psicologia, donne e web» ideato dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano che si propone come una risposta e al contempo uno stimolo alla delicata situazione che stiamo vivendo anche perché molti ospedali hanno dovuto riqualificare alcuni reparti per far fronte all’emergenza covid-19 e questo ha significato in ambito oncologico un rallentamento nella diagnostica legata alla prevenzione. «Abbiamo messo a punto una serie di incontri informativi, ma anche attività volte a stimolare il benessere e la gestione dello stress (ovviamente via web). Dietro ogni turbante — conclude la fondatrice dell’associazione — c’è la storia interiore e i sentimenti di chi lo ha realizzato e questo dà valore ai pezzi unici, diversi l’uno dall’altro, creati da ciascuna detenuta. Dà valore al loro lavoro artigianale. Va rimarcato che commissionando la confezione dei turbanti, Go5 offre lavoro alle donne detenute che devono in qualche modo cercare di avere uno stipendio per contribuire al bilancio familiare (spesso hanno i figli da mantenere perché il marito è in carcere anche lui). La solidarietà, così, corre su un doppio binario, contribuendo a creare benefici su un piano psicologico e materiale a donne in difficoltà e che vivono sofferenze diverse. Sulla scia anche dei messaggi che Papa Francesco (a cui invieremo uno dei nostri turbanti) spesso rivolge a chi sta maturando la dura esperienza del carcere».

di Davide Dionisi