· Città del Vaticano ·

A colloquio con l’abbadessa benedettina Maria Agnese Tagliabue

I giorni dell’attesa

Tintoretto «Annunciazione» (1582-1584)
25 novembre 2020

«In queste ultime settimane le notizie che, dopo l’ingannevole pausa estiva, sono tornate a correre anche da un capo all’altro del nostro Paese a diffusione “virale”, descrivono prosaicamente il tragico scenario di un mondo malato, di un pianeta ferito». Sono sofferte e toccanti le parole di madre Maria Agnese Tagliabue, classe 1960, abbadessa del monastero benedettino Regina Pacis a Saint-Oyen nella diocesi di Aosta, che abbiamo contattato per introdurci nel tempo d’Avvento, il tempo dell’attesa, che avrà inizio domenica prossima. Un tempo quest’anno segnato dalle notizie della pandemia. «Tutto questo vien fatto, spesso, ricorrendo al linguaggio della matematica — ha proseguito l’abbadessa — con numeri, percentuali, curve, algoritmi. Rare invece le biografie che sappiano dare un volto e un nome alle tante vittime mietute dalla pandemia».

Madre Maria Agnese Tagliabue — che dal 2018 è alla guida della comunità monastica fondata nel 2002 nell’Alta Valle del Gran San Bernardo, a 2.400 metri di altitudine lungo la via Francigena, al confine con la Svizzera — ha rimarcato: «Ora sulle pagine di questo “libro”, che è la cronaca nera dettata dall’emergenza covid-19, la Chiesa torna con audacia a scrivere il suo incantevole poema in questo tempo liturgico che racchiude e svela il luminoso segreto della storia: l’irrompere dell’eterno nel tempo, dell’infinito nello spazio, di Dio in carne d’uomo». Certamente l’esperienza di quest’attesa qualificata dal kairós, il tempo di Dio, diverso dal diaframma ozioso e calcolatore del chrónos. «Potremmo dire che la nostra esistenza avanza di attesa in attesa», ha proseguito madre Maria Agnese. «Attesa del nascere, attesa del crescere e maturare, attesa del morire, attesa finalmente di un “compimento” oltre ogni attesa. Il tempo di Natale, che l’Avvento prepara e che a sua volta è gravido del mistero della Pasqua, già ci offre una caparra di quella pienezza che è la vita divina, eterna e beata, a noi comunicata nello Spirito del Risorto».

Il richiamo è ancora una volta alla tradizione monastica, quella cresciuta e formatasi al pascolo sui “monti di Israele” (Ezechiele, 34, 14), ossia le pagine delle sacre Scritture ricorderebbe sant’Agostino. «La vita monastica si identifica con questo paradosso che anima e definisce il suo unico scopo: la ricerca di Dio. E volendo sintetizzare in poche parole come si vive — o si dovrebbe vivere — in monastero questo sacro tempo, possiamo ricorrere a una bella orazione di Avvento che recita così: “Il tuo aiuto, Signore, ci renda perseveranti nel bene in attesa del Cristo tuo Figlio; quando egli verrà e busserà alla porta ci trovi vigilanti nella preghiera, operosi nella carità fraterna ed esultanti nella lode”. Un programma di vita in piena sintonia con l’ora et labora, lege et noli contristari, “prega e lavora, leggi e non ti rattristare”». Un tempo per riscoprire la compassione in un mondo lacerato dall’egoismo che allontana e distrae dai verbi “vigilate” e “vegliate” presenti nel brano del Vangelo di Marco della prima domenica d’Avvento detta in latino Ad te levavi. «L’Avvento, che raccoglie in sé tutto il passato e apre al futuro — argomenta l’abbadessa — si presenta come il tempo della compassione di Dio in quel suo venirci umilmente incontro per fasciare le nostre piaghe, per curare le ferite di un mondo malato non solo di covid-19 ma anche di tanto egoismo, per risollevarci con la forza di una speranza che non delude. Così sarà veramente, se ci sarà concessa la grazia di saper adorare il mistero della sua nascita non solo contemplandolo nel bambino adagiato nel presepe, ma anche nel segno vivo del pane eucaristico, nel suo Corpo che è la Chiesa, nella carne di ogni uomo e donna che vive e muore sulla faccia della terra». In queste ultime settimane si è parlato molto di come vivere il Natale 2020. Chiosa madre Maria Agnese: «Molti giornali in questi giorni, con i loro titoli, tradiscono una mentalità estranea al mistero dell’Incarnazione, reale evento “accaduto” in una condizione di nascondimento e di grande povertà, nella vulnerabile fragilità della nostra carne umana. Non è forse questa l’esperienza che molti stanno facendo? Perché non pensare allora che proprio il Natale 2020 potrà, spogliato di tante caricature, essere molto simile a quello dell’anno “zero”?». Infine madre Maria Agnese ha rivolto un auspicio proprio da quella regione italiana tanto solerte nel varare per il bene comune misure sempre più restrittive alla luce del più alto indice di contagio di tutta Italia, gettando semi di speranza: «Possa questo tempo di Avvento darci il gusto dell’essenziale, il fremito di quella “leggerezza” che è dote di un cuore saggio, capace di autentico discernimento evangelico. Il cristiano non aspetta “qualcosa”, ma “Qualcuno”. Niente e nessuno potrà, all’infuori di Lui, colmare il cuore umano. Di esso non si fa mercato».

di Roberto Cutaia