· Città del Vaticano ·

L’impegno dei cestisti della Nba ricevuti dal Pontefice

Un messaggio di umiltà
e di giustizia sociale

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24 novembre 2020

Campioni, ma capaci di guardare «sempre alla società, alla giustizia sociale, ai problemi sociali», facendo dello sport «un messaggero per il bene». Con queste parole Papa Francesco si è rivolto ieri, lunedì 23 novembre, ai cestisti della Nba venuti in Vaticano dagli Stati Uniti insieme con i rappresentanti del sindacato Nbpa per presentargli il loro impegno contro la discriminazione razziale.

«Il vostro messaggio è la bellezza dello sport, è vero — ha detto il Pontefice parlando a braccio — ma anche il lavoro d’équipe, la comunità. E che questo sia seme di bellezza e di sviluppo comunitario verso la giustizia», ha auspicato.

Dopo aver confidato alcuni ricordi della propria infanzia — «di quando io ero piccolo... I was a boy!», ha detto scherzando, «e mi piaceva andare ogni anno al luna park per vedere i globetrotters. Sto parlando del 1952, ’53, ’54...» — Francesco ha rimarcato la valenza sociale del messaggio lanciato da questi atleti, stelle di prima grandezza sui parquet, ma anche capaci di impegnarsi con umiltà per rivendicare i diritti civili degli afroamericani. In proposito il Papa ha voluto sottolineare «che voi non siete uguali uno all’altro: conservate la vostra personalità. Ognuno di voi ha parlato personalmente». Ed è questa, ha aggiunto «la ricchezza» del gioco di squadra: «non perdere la propria personalità, ma integrarla con le altre». Da qui l’elogio «di questa testimonianza», della quale «oggi la società ha bisogno». Infatti, ha chiarito, «voi siete campioni e anche dando questo esempio di équipe diventate umili. È la bellezza dell’uomo di sport che è grande», ma per far parte della squadra «rimane sempre umile».

Agli atleti Francesco ha affidato infine il compito di conservare «sempre questa umanità, perché lo sport ci aiuta ad essere più umili», e di «non perdere quella dimensione di gratuità dello sport, perché lo sport è bello» ma «c’è sempre il pericolo di perdere questo» aspetto a vantaggio dell’«efficienza»; invece si tratta sempre di «un dono che io ricevo e un dono che io do», ha concluso, evidenziando la presenza nella delegazione di una donna: «Credo — ha commentato — che è la prima volta. Si vede che ha personalità».


Lo sport contro il razzismo


Le regole del gioco nello sport sono uguali per tutti. Eppure, per decenni, agli sportivi afroamericani è stata negata la possibilità di giocare nella migliore lega di basket del mondo. Potevano sì calcare i parquet nelle leghe universitarie, ma fino al 1950 non li hanno lasciati partecipare alla Nba (National basketball association) nata nel 1946, anche se fino al 1949 si chiamò Baa (Basketball Association of America). Lì tre giocatori di colore hanno raggiunto grande notorietà: Earl Lloyd, Chuck Cooper  e Nat “Sweetwater” Clifton.

Dopo la morte di George Floyd, lo scorso 25 maggio a Minneapolis, a causa delle violenze subite da parte della polizia durante il suo arresto, molti cestisti della Nba  si sono uniti alle manifestazioni di protesta della gente. Si sono anche radunati per rendere visibile il loro “no” al razzismo. In ginocchio e con il pugno alzato al cielo.

Il boicottaggio, lo scorso 26 agosto, degli atleti della Nba  è stato quindi una pietra miliare nella lotta dello sport contro il razzismo, soprattutto negli Stati Uniti. Quel giorno si sarebbe dovuta giocare una partita  tra i Milwaukee Bucks e gli Orlando Magic. Solo che entrambe le squadre hanno deciso di sospenderla per protestare contro un nuovo atto di violenza della polizia  nei confronti di un afroamericano,  perpetrato in Wisconsin. A seguire, lo stesso è accaduto tra le leghe professionistiche di football americano  e baseball e la lega femminile di pallacanestro, coinvolgendo così gran parte del mondo sportivo a stelle e strisce. Qualcosa stava cominciando a cambiare nel Paese e la Nba si è fatta portabandiera del movimento di protesta.

Fino a poco tempo fa gesti  come questi, che oggi vengono considerati normali nella lotta contro gli abusi razziali, erano visti con una certa freddezza dalla società statunitense. Ma lo sport è sempre stato uno strumento di lotta contro «il peccato del razzismo» — così lo ha definito Papa Francesco — nel mondo.

Quello non è stato il primo boicottaggio che ha subito la lega professionistica di pallacanestro statunitense. Nel 1961 una delle sue grandi stelle, Bill Russel, e altri giocatori di colore dei Boston Celtics, decisero di non giocare una partita amichevole a Lexington, in Kentucky, dopo che un ristorante della città si era rifiutato di servirli.

Un caso simile, anche se in quell’occasione con il football americano come protagonista, si era verificato nel 1965 a New Orleans, dove si doveva tenere la partita delle stelle (All star game ) della ormai scomparsa American Football League (Afl). I giocatori di colore che facevano parte delle squadre dell’Est e dell’Ovest furono accolti con ostilità  e, come era avvenuto quattro anni prima, diversi negozi, e addirittura i taxi all’aeroporto, negarono loro il servizio. Con il sostegno anche degli atleti bianchi, fecero pressione affinché la partita non si giocasse a New Orleans e, di fatto, alla fine si disputò a Houston, in Texas.

Nel 1970, nove giocatori afro-americani della squadra dell’università di Syracuse, abbandonarono il ritiro per protestare contro la discriminazione razziale nel campus. Il gruppo, conosciuto erroneamente come gli “8 di Syracuse”, presentò una serie di  rivendicazioni per una maggiore parità di trattamento, oltre che per una maggiore diversità  razziale tra le persone incaricate di allenare i giocatori.

La lotta per l’uguaglianza dei diritti e contro il razzismo è stata una costante nella Nba. Lo sport è una grande fonte di valori umani come l’integrazione e l’uguaglianza; ed è su questi valori inerenti alla pratica sportiva che s’incentra il lavoro portato avanti dal sindacato dei giocatori, la Nbpa (National Basketball Players Association). Gli ultimi sette mesi  di attività sono stati raccolti in un volume dedicato a  Papa Francesco dove immagini, citazioni e titoli dimostrano il ruolo guida e l’attivismo dei cestisti nelle loro comunità attraverso azioni concrete contro gli effetti della pandemia, la presa di coscienza della giustizia sociale e l’educazione al diritto di esercitare il voto.  «I nostri membri formano una fraternità con storie ed esperienze diverse, ma sono uniti nei valori fondamentali: integrità, lavoro di gruppo e rispetto», sostiene Elle Hagedorn, addetta stampa del sindacato. Il canestro come portavoce della giustizia sociale. Un movimento che cerca di far crescere la coscienza pubblica e la sensibilità politica,  per risolvere un problema endemico che è passato inosservato per troppi anni nel Paese.

di Silvina Pérez