· Città del Vaticano ·

Dalle facoltà ecclesiastiche e le università cattoliche

Un contributo alla fraternità universale

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24 novembre 2020

Con la lettera enciclica Fratelli tutti Papa Francesco ha lanciato un forte appello al «dialogo con tutte le persone di buona volontà» per realizzare «un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole» (n. 6). Tuttavia il Papa non si nasconde la difficoltà nella realizzazione di questo disegno in quanto «nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi» (n. 30). E, tra le cause di questa decadenza dell’idea di fraternità che sembrava presente all’inizio dell’era moderna, Papa Francesco pone il prevalere di «un modello culturale unico (...) che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza» (n. 12). Si tratta, allora di educare alla “cultura dell’incontro”, di cui Papa Francesco ha parlato tante volte, ma che non si può costruire se non si parte dall’educazione delle nuove generazioni perché «la parola cultura indica qualcosa che è penetrato nel popolo, nelle sue convinzioni più profonde e nel suo stile di vita» (n. 216).

E proprio qui sta il grande apporto che le istituzioni educative cattoliche, specialmente degli studi superiori (facoltà ecclesiastiche e università cattoliche) possono offrire favorendo il dialogo tra fede e ragione che è alla base della cultura dell’incontro tra persone che, pur avendo idee diverse, sono disposte ad ascoltarsi per cercare insieme il bene comune della fraternità universale. Questo dialogo deve, tuttavia, superare un’inevitabile aporia che è sottesa anche nella presente enciclica la quale, come detto, si rivolge non solo ai credenti, ma a tutti gli uomini di buona volontà appellandosi alla comune ragione umana. Infatti, se è vero che il valore della fratellanza universale può essere raggiunto anche dalla sola ragione, la storia dimostra come ciò sia assai difficile, anzi, come afferma Benedetto xvi (citato nell’enciclica al n. 272), «la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità» (Caritas in veritate, 19) in quanto, come ricordava san Giovanni Paolo ii (ancora citato nell’enciclica) «se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquisisce la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini» (Centesimus annus, 44).

Com’è possibile, allora, il dialogo con i non credenti sulla base della sola razionalità sui valori naturali, come la fratellanza universale? La risposta a questa domanda è possibile solo se si condivide il significato pieno della ragione umana in tutte le sue potenzialità. Ma proprio qui sta l’ostacolo dei nostri tempi in cui domina una cultura che non solo è giunta alla «nefasta separazione» tra ragione e fede (cfr. Fides et ratio, 45), ma tende a escludere ogni riferimento religioso in ambito scientifico e culturale dimenticando che «quando, in nome di un’ideologia, si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo smarrisce se stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati» (Papa Francesco, Discorso ai leader di altre religioni, Tirana, 21 settembre 2014). Per superare questo ostacolo che mortifica la ragione umana molto può essere fatto da parte delle nostre facoltà e università per ridare fiducia alla ragione nella sua capacità di aprirsi a ciò che la trascende. Ma ciò è possibile solo se, seguendo il prezioso apporto di Bernard Lonergan, la mente umana accetta una triplice conversione nella sua ricerca del vero e del bene: una conversione intellettuale con cui si supera il mito secondo cui è reale solo ciò che è sensibile e misurabile; una conversione morale con cui si adotta come criterio delle proprie decisioni il bene oggettivo, anche se non è utile individualmente o accettabile socialmente; una conversione religiosa che consiste nell’aprirsi a ciò che ci trascende come verità assoluta che amorevolmente attrae l’animo umano (cfr. Il metodo in teologia, Queriniana, 1975). Questo processo graduale di conversione favorisce il dialogo tra una ragione purificata dalle sue debolezze e una fede che la può illuminare senza mortificarla. E il luogo privilegiato per tale dialogo è senz’altro nelle nostre università, il cui compito è quello di «unificare esistenzialmente due ordini di realtà che troppo spesso si tende ad opporre come se fossero antitetiche: la ricerca della verità e la certezza di conoscere già la fonte della verità» ( Ex corde Ecclesiae, 1).

Ed è proprio su questa linea di un approccio induttivo che si pone anche l’enciclica Fratelli tutti senza negare valore anche all’approccio deduttivo più tradizionale: tale approccio induttivo (da taluni erroneamente scambiato come appiattimento del messaggio cristiano alla sola dimensione orizzontale) è un ulteriore stimolo per le nostre istituzioni educative a praticare sempre più la cultura del dialogo con tutti «non come mero atteggiamento tattico, ma come esigenza intrinseca per fare esperienza comunitaria della gioia della Verità e per approfondirne il significato e le implicazioni pratiche» (Papa Francesco, Veritatis gaudium, 4). E non per nulla lo stesso Pontefice ha voluto lanciare l’iniziativa di un Patto educativo globale, per coinvolgere tutti coloro che hanno compiti educativi per sottoscrivere un comune impegno a una educazione integrale di ogni persona umana senza scarti ed esclusioni nella convinzione che l’educazione è l’elemento che «rompe i determinismi e i fatalismi con cui l’egoismo del forte, il conformismo del debole e l’ideologia dell’utopista vogliono imporsi tante volte come unica strada possibile» (Papa Francesco, Videomessaggio per la giornata dedicata al Patto educativo globale, 15 ottobre 2020).

La lettura e la realizzazione di quanto Papa Francesco suggerisce nella presente enciclica è, dunque, un’occasione che le nostre istituzioni educative non possono lasciarsi sfuggire sia per il loro auspicato rinnovamento in risposta alle nuove sfide del mondo odierno sia per favorire il vero progresso del sapere umano in risposta alle attese più profonde del cuore umano. Anche dal loro contributo nasce la speranza che Papa Francesco ribadisce malgrado le dense ombre delle nostre società: «Invito alla speranza che ci parla di una realtà che è radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vive» perché «Dio continua a seminare nell’umanità semi di bene» (Fratelli tutti, 54).

di Giuseppe Versaldi
Cardinale prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica