· Città del Vaticano ·

Armigeri del sovranismo

E la difesa dell’identità scivolò sul tortellino

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24 novembre 2020

Nel tomo primo de L’Apicio moderno, dato alle stampe in seconda edizione nel 1807, Francesco Leonardi, cultore della gastronomia e precursore del più noto Pellegrino Artusi, riporta una ricetta della zuppa di tortellini alla bolognese. Che inizia così: «Fate una sfoglia come la precedente. Pestate nel mortaio del petto di pollo arrosto, aggiungete midollo di manzo ben pulito». Ma come! A settembre dello scorso anno a Bologna scoppiò la rivolta indignata dei puristi del tortellino quando, per non escludere dalla festa in onore del patrono Petronio i cittadini di fede musulmana che non mangiano maiale, si propose di prepararne anche con la carne di pollo, e ora si scopre che due secoli prima la ricetta li prescriveva proprio con questo ingrediente? Una rivelazione inattesa e spiazzante quella di Maurizio Bettini, professore di Filologia classica dell’università di Siena, che la utilizza non senza ironia nell’interessante libro Hai sbagliato foresta (Bologna, Il Mulino, 2020, pagine 168, euro 14) per demolire uno dei tanti presunti tradimenti dell’identità culturale italiana, che vanta non pochi difensori. «Chierici e armigeri del sovranismo» li definisce l’autore, dei quali stigmatizza «il furore dell’identità», che poi è l’eloquente sottotitolo del volume.

Che si tratti di un tema importante lo dimostra la sua crescente rilevanza nel dibattito politico oltreché nell’universo dei media. E per argomentare le sue riflessioni critiche Bettini parte da un’illuminante quartina di Giorgio Caproni intitolata Cabaletta dello stregone benevolo che recita così: «Non chieder più. / Nulla per te qui resta. / Non sei della tribù. / Hai sbagliato foresta». «Ecco — chiosa l’autore — non saprei dire se come stregoni siamo benevoli o no (penserei comunque di no). In ogni caso sembriamo ormai solo preoccupati di stabilire chi appartiene alla tribù e chi no, sempre ansiosi di dire a qualcun altro che “ha sbagliato foresta”, con il logico corollario che deve smetterla di accampare pretese su un territorio, il “nostro”, che non gli appartiene».

Per vincere la ripugnanza suscitata dal “disordine” introdotto da chi non è della tribù, i paladini del sovranismo hanno scelto alcune parole d’ordine: delimitare, escludere e, soprattutto, “rimettere a posto” i diversi. Diversi che sostanzialmente sono i migranti — il nemico perfetto — e, a seguire, i Rom. Su di essi si riversano i loro strali, fondati su stereotipi e pregiudizi che alimentano in quella parte di popolazione culturalmente e socialmente meno attrezzata, facendo presa su insicurezze e paure cinicamente indotte.

Bettini si scaglia anche contro i «tanti richiami, a volte ridicoli, smaccati, sgradevoli anche per molti cattolici, all’identità cristiana», i quali, alludendo a una presunta componente di sacrale verità nel loro pensiero, tentano di costruire una sorta di religione dell’identità. E «chi professa la fede nell’identità crede anche nell’esistenza di categorie compatte», sottolinea Bettini. Categorie che si risolvono appunto in stereotipi e pregiudizi — i musulmani sono tutti terroristi, i Rom tutti ladri, e così via — nonché nella creazione di gerarchie in cui i diversi ricoprono sempre e comunque posizioni di inferiorità. E quando accade si entra nella sfera del razzismo vero e proprio.

Con riflessioni puntuali Bettini passa in rassegna i misfatti del furore identitario nella conversazione culturale, fornendo una sorta di filo di Arianna per non rimanere prigionieri della foresta. Tale filo annoda spesso, come si è visto, il discorso sul cibo, non di rado investito dall’ossessione dell’identità. Lo dimostrano anche alcune crociate contro l’apertura di catene di negozi stranieri, percepite come pericolose contaminazioni, salvo dimenticare che alcune icone della cucina italiana nel mondo, come pizza e spaghetti, non esisterebbero senza il pomodoro, importato dalle Americhe.

Ma il cibo è solo uno dei pretesti, e sicuramente il meno pericoloso, sui quali si concentrano i fanatici dell’identitarismo. Quando il concetto della purezza, che ne è alla base, assume un carattere quasi sacro e si sposta su altri versanti, il furore identitario provoca guasti che non di rado sfociano in tragedia. Ne sono esempi i genocidi consumatisi nell’ex Jugoslavia e in Rwanda, dietro i quali vi era un preciso disegno politico di pulizia etnica, ma anche violenze più recenti dettate dal fanatismo di singoli. Come la strage di musulmani a Christchurch, in Nuova Zelanda, o quella di ispanici compiuta pochi mesi dopo da un giovane suprematista bianco a Al Paso, negli Stati Uniti, come risposta all’“invasione” del Texas. Bettini sottolinea dunque gli sfasci dovuti alla sostituzione del concetto di alterità con quello di identità, laddove l’altro viene percepito come un diverso da noi. «Ogni volta che una scheggia di altro, una sua particella viola quel confine, l’identità non è più “se stessa” e inevitabilmente si “altera”», scrive lo studioso, sia che si tratti un negozio, di un campo Rom o di una nave umanitaria carica di migranti che tenta di entrare nel porto di Lampedusa. «Attraccando in banchina — aggiunge Bettini — e sbarcando i propri sventurati passeggeri il comandante di quella nave non rischia solo di violare i confini nazionali, ma, cosa ancora più grave pur se non esplicitamente riconosciuta, rischia di violare i confini della purezza nazionale».

Eppure, sottolinea giustamente, le società da sempre si sono alimentate di mescolanza, non di purezza. Questo non significa che le migrazioni siano indolori e sicuramente non vengono percepite come tali. «L’immigrazione non è una festa — aggiunge l’autore —. Però non è neppure quell’incubo in cui vorrebbero farci vivere alcuni politici, chierici e armigeri del sovranismo, ossessionati dal bisogno di stringere la tenaglia dell’identità».

In sostanza, è bene ricordarlo, l’Italia «non è una “foresta” circondata da nemici contro i quali esercitare il diritto di legittima difesa». Certo simili rappresentazioni del fenomeno migratorio, ispirate da fanatismo o da un cinico opportunismo elettorale, verrebbe voglia di ignorarle. Ma, come si sottolinea, sarebbe un errore, perché «ci sono, circolano, si diffondono lungo gli infiniti cammini della “mediosfera” da cui siamo circondati, agiscono sulla percezione della realtà da parte di molte persone, fino al punto di spingere dei ragazzi ad aggredire un nero per strada».

Hai sbagliato foresta tratta temi rilevanti che Bettini affronta non solo con il rigore dello studioso, ma anche con la saggezza che deriva dal buon senso, nonché dall’insegnamento, peraltro spesso ignorato, di secoli di storia che ci dicono come, laddove le differenze hanno rispettosamente convissuto, si sono avuti periodi di pace e di benessere. Ma è anche un libro che si chiude con un’amara constatazione. «L’identitario “duro”, quello che stringe la tenaglia, ascolta solo quelli che parlano come lui, pensano come lui, sta chiuso nella sua “foresta” e, salvo miracoli squisitamente individuali, difficilmente sarebbe disponibile a uscirne per cambiare idea», scrive Bettini. Che però un obbiettivo lo ha: «Quello costituito dalla zona grigia. In altre parole tutti coloro che non ci hanno mai pensato, che hanno solo orecchiato qualcosa in tv, che hanno visto un filmato sui social, a cui un amico ha detto che… Sono loro a cui dobbiamo guardare a cui dobbiamo parlare. Loro che si possono incontrare sui treni, loro che frequentano il nostro stesso luogo di lavoro, loro che nei banchi siedono di fronte a noi, se siamo insegnanti».

di Gaetano Vallini