· Città del Vaticano ·

Ad Assisi l’ordinazione episcopale del cardinale eletto Mauro Gambetti

Un vero pastore per chi ricerca la pace

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23 novembre 2020

«Guardare ogni persona con occhi di padre, di un padre buono, semplice e accogliente»: un padre che «dona gioia alle persone, che è pronto ad ascoltare chiunque desidera aprirsi a lui, un padre umile e paziente; in una parola, un padre che mostra sul suo volto il volto di Cristo». È questo il compito, impegnativo ed esaltante, che il cardinale Agostino Vallini, ha affidato a padre Mauro Gambetti, dei Frati minori conventuali — che riceverà la porpora cardinalizia nel Concistoro del 28 novembre — durante il rito di ordinazione episcopale presieduto domenica pomeriggio, 22 novembre, nella basilica superiore di San Francesco. Co-consacranti sono stati l’arcivescovo-vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, Domenico Sorrentino, e il vescovo di Imola, Giovanni Mosciatti.

Rivolgendosi al neo ordinato — al quale è stata assegnata la sede titolare di Tisiduo — il cardinale legato pontificio per le basiliche di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli in Assisi lo ha esortato a chiedere «al Signore di conservare sempre, anche da vescovo e cardinale, uno stile di vita semplice, aperto, attento, sensibile particolarmente verso chi soffre nell’anima e nel corpo, uno stile di vero francescano». Da qui l'invito a impegnarsi, affinché manifesti e testimoni «la bontà e la carità di Cristo» e a «sentire e rendere visibile la tenerezza di Gesù particolarmente verso i tanti cercatori di pace».

Il cardinale ha poi sollecitato Gambetti a essere «un vero pastore» , cioè «un dono del Signore fatto al popolo di Dio, una persona che si misura ogni giorno con la sfida di rendere concreto l’ideale del Vangelo vissuto secondo lo spirito della Chiesa». Vallini ha quindi spiegato cosa significhi esercitare il ministero episcopale, inteso come «carisma e sevizio, non come potere e apparenza». Proprio per questo, ha sottolineato il porporato, padre Gambetti dovrà essere «attento a valorizzare le persone appartenenti al buon popolo di Dio con carità e abnegazione, manifestate in tutte le forme verso i semplici e i poveri, come verso i colti e quanti sono collocati in posizioni elevate». Come vescovo dovrà impegnarsi a «diffondere particolarmente la Parola di Dio, sostenendo e incoraggiando le molteplici iniziative formative e pastorali, senza sottrarti al confronto con credenti e non credenti, affrontando le sfide del nostro tempo, aperto sempre al dialogo con tutti». L’ex custode del Sacro convento, «chiamato dal Romano Pontefice nel Collegio cardinalizio», dovrà avere sempre «un cuore largo e un respiro universale per le funzioni» che sarà chiamato a svolgere «in aiuto al successore di Pietro».

Il cardinale nell’omelia ha indicato, in particolare, tre termini che «qualificano e in qualche modo sintetizzano il ministero del vescovo»: amico, servo, pastore.

Il vescovo è, anzitutto «amico di Cristo», ha detto il porporato. Nell’ora suprema della passione, «Gesù chiama i suoi discepoli amici». Vale a dire: «voi siete i miei intimi, voi mi appartenete, siete la mia famiglia, la mia casa». A chi riceve l’episcopato è chiesto anzitutto «di avere con il Signore un forte rapporto personale, di essere un uomo di fede, di una fede viva, robusta, motivata, una fede coltivata nella preghiera, che prende ispirazione, luce e forza per il suo servizio pastorale». L’appartenenza a Cristo «lo identifica con Cristo, gli fa sentire il desiderio di assomigliare a Cristo, di fissare il suo sguardo su quello di Cristo crocifisso»: in una parola, di avere, come insegna san Paolo, «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù», che spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo.

Da qui discende «il suo servizio», cioè percepirsi e «vivere concretamente come persona dedicata al bene di tutti, ad amare tutti, a sentirsi vicino a tutti, interessato a tutti, perché il Vangelo arrivi a tutti». Il vescovo, pertanto, «si impegna coscientemente a mostrare il Vangelo anzitutto con la testimonianza umile e gioiosa della sua vita, della sua dedizione, attenzione, premura, perché la Parola di Dio sia viva, credibile e penetri nei cuori». Questa sua passione, ha sottolineato il porporato, ne fa «un vero pastore».

Al termine della celebrazione, il neo vescovo Gambetti ha ringraziato il Papa e i presenti , sottolineando come ci siano «momenti di svolta nella vita, che talora comportano salti. Quello che sto vivendo — ha confidato — lo considero come un tuffo dal trampolino in mare aperto, mentre mi sento ripetere:  duc in altum». Poi, ha raccontato di aver vissuto settimane serene, di aver pregato, amato e di aver «accolto la benevolenza dei fratelli e delle sorelle che in tanti modi si sono fatti prossimi e mi hanno aiutato». Da qui la gratitudine per il dono ricevuto e per quello che ora lo aspetta, cioè «un tuffo in mare aperto. A dire il vero, non un semplice tuffo, ma un vero e proprio triplo salto mortale carpiato, in posizione libera». Il neo vescovo ha quindi concluso ringraziando «i fratelli e le sorelle, gli amici e i nemici, sì, anche chi mi è stato avverso, per ragioni più o meno legittime: una immensa rete d’amore, che tutto comprende e tutto riplasma, tutto dinamizza e tutto trasforma».