· Città del Vaticano ·

Cent’anni fa il primo giallo di Agatha Christie

La scommessa che aprì un’epoca

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10 novembre 2020

Tutto ebbe inizio con una scommessa. A lanciarla fu Margaret, la sorella di Agatha Christie, che esortò la futura regina del giallo a scrivere una crime fiction degna di essere pubblicata. Era il 1916. Infuriava la prima guerra mondiale e la Christie prestava servizio, come infermiera, nelle corsie degli ospedali di Londra curando i soldati feriti costretti a tornare dal fronte. La scommessa fu accettata: non solo per un motivo di sano orgoglio, ma anche perché essa avrebbe costituito una corroborante distrazione dal dramma quotidiano, dettato dal conflitto, che si stava vivendo. Fu così che venne scritto Poirot a Styles Court («The Mysterious Affair at Syles»); fu così che cominciò la carriera strepitosa di scrittrice di Agatha Christie (la più tradotta al mondo, superando anche William Shakespeare); fu così che irruppe sulla scena Hercule Poirot, il detective privato dalla testa d’uovo (belga, non francese!) destinato, con le sue immarcescibili «cellule grigie» e i suoi modi vellutati, a lasciare un segno indelebile nell’immaginario collettivo.

Che in quell’opera prima fosse presente in nuce il genio lo avrebbe intuito ogni lettore, ma non l’editore che, dopo una lettura cursoria e, per questo, irriverente, pensò bene di non pubblicarlo subito. Lo mise nel cassetto della sua scrivania, dove rimase, inerte e impolverato, per quattro anni. Sarebbe stato finalmente pubblicato nel 1920. Dunque, cent’anni fa si verificò un doppio evento: Agatha Christie s’imponeva, incontrastata, sulla scena del giallo internazionale; al contempo, ella imprimeva una svolta nell’impostazione e trattazione del giallo stesso, fino ad allora monopolizzato da sir Arthur Conan Doyle e dal suo Sherlock Holmes.

Facendosi portavoce di chi lo aveva creato, così dichiara Poirot: «Non ho bisogno di dissezionare un mozzicone di sigaretta o di annusare la polvere su un mobile per scoprire il colpevole. A me interessa, anzitutto, la psicologia, non solo dell’assassino, ma anche della vittima». In questa perentoria affermazione si specchia un manifesto programmatico che rappresenta il metodo investigativo che presiede all’architettura di ogni giallo della Christie, ovvero la donna che, dopo Lucrezia Borgia, è vissuta più a lungo con il crimine, come diceva di lei Winston Churchill.

La storia di Poirot a Styles Court è ambientata in Inghilterra durante la prima guerra mondiale: la cornice è data da un maniero nella campagna dell’Essex (ambientazione anche di Sipario, l’ultimo caso di Poirot). Il capitano Arthur Hastings è in soggiorno a Styles Court, dietro invito del suo amico John Cavendish. Una notte, gli abitanti di Styles trovano la proprietaria della villa, nonché matrigna di John, Emily Inglethorp, moribonda a causa di un avvelenamento da stricnina. Hastings pensa di rivolgersi al suo amico Hercule Poirot, rifugiatosi in Inghilterra per sfuggire alla guerra e residente nel villaggio vicino, Style St. Mary. L’investigatore dai baffi all’insù, perfettamente azzimati, scarpe di cera e occhi verdi che «mandano scintille», comincia a indagare. Su un intreccio sempre più avvincente, cadenzato da imprevisti e colpi di scena, domina un duplice interrogativo: come e quando è stata somministrata la stricnina? L’indagine contempla anche la presenza di Scotland Yard (tema questo ricorrente in tutti gli altri gialli), istituzione nazionale verso la quale la Christie muove una garbata, ma non per questo, meno incisiva ironia: infatti sarà sempre Poirot, coadiuvato dal suo intuito geniale, e non Scotland Yard, condizionata dalla sua protocollare burocrazia, a risolvere il caso di turno. E sarà dunque l’investigatore belga, e non James Japp, ispettore di Scotland Yard, a spiegare, lasciando a bocca aperta tutti i protagonisti della vicenda, come e quando la stricnina è stata somministrata a Emily Inglethorp.

Agatha Christie sosteneva di scrivere gialli solo per permettersi acquisti costosi, con particolare riguardo all’arredamento della casa. Tra leggenda e realtà si narra che abbia scritto il celeberrimo Assassinio sull’Orient Express per comprare un grande mobile a cristalliera da mettere in salone. Come pure la scrittrice seppe valorizzare l’esperienza maturata come infermiera negli ospedali durante la prima guerra mondiale: ebbe modo infatti di conoscere a fondo le medicine, soprattutto i veleni, così generosamente somministrati alle tante vittime che scandiscono i suoi gialli. Ne sa qualcosa Emily Inglethorp.

di Gabriele Nicolò