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«Fratelli tutti» - Per una lettura dell’enciclica di Papa Francesco

Giovani e lavoro: prioritaria la formazione

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07 novembre 2020

Ai lettori attenti dell’enciclica Fratelli tutti non dev’essere sfuggito il numero 162 dedicato al lavoro. È una sintesi della riflessione cristiana sul tema, mettendo a fuoco la centralità della persona. L’obiettivo affermato, infatti, è quello di «assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze». Il riconoscimento della dignità umana passa dalla promozione del lavoro e dalla capacità di una società a educare le giovani generazioni alla professione. Aggiunge Papa Francesco: «In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo».

Se tutto ciò è vero, affrontare la crisi lavorativa significa prendere sul serio la formazione dei giovani. Il treno della vita passa anche da qui. Nella pandemia scopriamo che le categorie più fragili sono gli anziani, che pagano sulla propria pelle più di tutti la crisi sanitaria, e i giovani, che vedono piombarsi addosso una crisi sociale ed economica di inedite proporzioni. Questi ultimi rischiano di vedere bloccato il lavoro nel presente e di portare un domani il peso di un indebitamento senza precedenti. Il loro futuro appare ipotecato. Proprio l’incertezza dell’oggi richiede un investimento coraggioso sui giovani e sulla formazione al lavoro. Si sa, il tema dei giovani è una delle ferite aperte della società italiana: la loro fuga dalle aree interne e marginali del Paese in cerca di fortuna altrove rappresenta un dato che dovrebbe allarmare. Al contrario, viene guardato con rassegnazione, quasi non ci sia nulla da fare e che sia qualcosa più grande di noi. Siamo schiacciati e non possiamo che osservare! D’altro canto, un investimento massiccio nella formazione porterebbe ad abitare il nostro tempo con stile innovativo. Il futuro lo si prepara progettando nel presente. Siccome il mondo del lavoro è in continua trasformazione, stare dentro ai cambiamenti in corso significa darsi le competenze necessarie per potersi mettere in gioco. La formazione in genere, e quella professionale in particolare, è chiamata a rispondere a questa esigenza. Rappresenta il tentativo di consegnare le chiavi in mano per aprire le porte al lavoro secondo le esigenze dei tempi, senza paure di sentirsi out, ossia fuori dal tempo e dal mondo.

Propongo una riflessione che parta dalla fenomenologia dell’intelligenza umana, che appare diversificata e complessa, per poi giungere a guardare con attenzione alle richieste che nascono all’interno del mondo dell’impresa. L’inclusione sociale si gioca su questo fronte. Tutti ci rendiamo conto che esistono diversi tipi di intelligenza: c’è l’intelligenza teoretica, l’intelligenza emotiva, l’intelligenza pratica... Lo sviluppo di queste forme di intelligenza è alla base della formazione umana integrale. Ci sono persone che hanno una spiccata intelligenza teoretica e che quindi sono a loro agio nel sistema scolastico liceale e universitario. Astrarre, applicare, dedurre, concettualizzare, approfondire, ricercare... sono i verbi coniugati da questo approccio alla realtà.

Ci sono poi persone che hanno una singolare intelligenza emotiva, che trovano, per altre vie, il modo di far fiorire i loro talenti attraverso il teatro, la danza, lo sport, il cinema, i circoli letterari e artistici... C’è, infine, chi ha una spiccata intelligenza pratica e che rischia di finire vittima del vecchio pregiudizio che associa il lavoro manuale a quello degli schiavi e lo ritiene di rango inferiore. Ci sono giovani, meno portati allo studio di storia o matematica o fisica, che invece hanno una particolare propensione alla manualità: sanno smontare e ri-montare un motore, diventano abili nella saldatura, sono creativi nel disegnare un modello di giacca o di abito, hanno la fantasia di cucinare piatti o di creare acconciature. Molti di loro arrivano a imparare la matematica, la trigonometria, la storia, la letteratura proprio a partire dallo sviluppo della loro intelligenza pratica e non da un approccio meramente teorico. Ciò significa che modelli diversi di apprendimento possono avere piena cittadinanza nella formazione. Il compito delle agenzie educative non è quello di discriminare a seconda dei punti di partenza, ma di condividere quelli di arrivo. Puntando sull’intelligenza di ciascuno, li si può portare alla stessa meta, che non è data da una quantità di nozioni uguale per tutti, ma da un esercizio concreto di cittadinanza e da una piena consapevolezza delle proprie capacità. La pratica diventa un esercizio di scoperta di sé, fino a fare l’esperienza che esiste un posto per ciascuno nel mondo. Ce lo insegna anche la scuola di Barbiana, fondata da don Lorenzo Milani e studiata dai pedagogisti di tutto il mondo. Ogni giovane ha diritto di avere gli strumenti per abitare il proprio tempo con senso di responsabilità e con competenza.

La sfida per il mondo cattolico si fa doppia, perché significa saper vedere dei «geni di manualità» in ragazzi che per molti rappresentano una causa persa, talvolta persino definiti come «asini». Come ci insegna la Scrittura, «la pietra scartata dai costruttori, è divenuta pietra d’angolo» (Sal 118, 22). L’interpretazione biblica è riferita a Cristo, che umiliato e ucciso, viene risuscitato dal Padre. Il principio vale però anche per le persone: gli scarti possono diventare punti cardine di un’umanità differente. Basti pensare a ciò che Papa Francesco ha affermato nei vari incontri con i movimenti popolari: li ha riconosciuti come «poeti sociali», quando spesso nei loro Paesi vengono squalificati come gente di strada. Tutto ciò giustifica il rafforzamento dell’impegno nella formazione professionale: si può valorizzare l’intelligenza pratica come di alta dignità e si restituisce ai giovani l’autostima che talvolta la stessa scuola rischia di distruggere.

In questo momento storico, poi, deve far pensare il mismatch tra formazione e mondo delle imprese. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è verificabile in alcuni settori quali l’industria meccanica e quella agroalimentare; il settore tessile e della moda; i servizi di alloggio e ristorazione (turismo); le attività avanzate di supporto alle imprese; il commercio e la meccatronica; le industrie della carta, cartotecnica e stampa; i servizi informatici e delle telecomunicazioni; le industrie chimico-farmaceutiche, della plastica e della gomma. A ciò si aggiunga il cambiamento tecnologico in atto: in un prossimo futuro molti dei posti di lavoro tradizionali spariranno, mentre una buona percentuale di professioni si trasformerà. Nell’epoca dell’intelligenza artificiale, della robotica, della nanotecnologia e della biotecnologia più di un terzo delle competenze che saranno considerate fondamentali, e quindi ad alta domanda per nuovi posti di lavoro, oggi hanno un’importanza secondaria: le social skill, cioè capacità di persuasione, intelligenza emotiva, abilità nell’insegnamento; le capacità cognitive, quindi creatività, ragionamento analitico; e le process skill, ovvero capacità di ascolto e critical thinking. Le sfide etiche non mancheranno, soprattutto di fronte al rischio di de-umanizzazione del lavoro, possibile sia con il ricorso ai braccialetti elettronici (con compiti di sorveglianza) sia con l’introduzione dell’artificiale.

C’è una distanza tra ciò che viene offerto nella scuola superiore e nei percorsi universitari e le necessità concrete delle aziende. Non è raro il caso di giovani costretti a recarsi per un certo periodo nello studio di un professionista per imparare come si partecipa attraverso progetti a bandi comunali, regionali, nazionali o europei... Le imprese che necessitano di un perito meccanico, spesso, sono costrette a insegnare ai giovani come si usa un tornio. L’industria oggi ha bisogno di operai iperspecializzati, anche con competenze digitali, e c’è carenza di scuole che preparino i giovani ad acquisire le competenze richieste. Nel mondo delle ipertrofie dei regolamenti nazionali e regionali, troppe poche persone si pongono il problema di chiedere ai destinatari le esigenze per far funzionare il mondo produttivo.

Qui si rivela di luminosa strategia economica e umana l’investimento fatto dai corsi di formazione professionale: ci si mette in ascolto del territorio e si offrono risposte all’altezza delle attese sia dei giovani, che hanno bisogno di maturare e formarsi, sia delle imprese che chiedono sempre più una qualificazione specialistica.

Le scuole di formazione professionale sono una benedizione, soprattutto in questo momento storico. Hanno il coraggio di dire ai giovani che non c’è un parcheggio libero per loro.

Papa Francesco nell’esortazione apostolica Christus vivit affermava che «ogni formazione è vocazionale» (254). Il miracolo sta nel risvegliare in tanti giovani il desiderio di appassionarsi a una professione che possa diventare la ragione profonda del proprio riscatto umano e sociale. È il tentativo di portare al centro periferie esistenziali che rischierebbero sempre di giocare la partita della loro vita in campionati minori. La formazione diventa discriminante per far fiorire le esistenze appassite e rassegnate in esistenze che spiccano il volo. Su ali d’aquila.

di Bruno Bignami