· Città del Vaticano ·

«Fratelli tutti» - Per una lettura dell’enciclica di Papa Francesco

Un rinnovamento immaginativo

Marc Chagall, «Caino e Abele» (1960)
04 novembre 2020

Gli esseri umani sono già fratelli e sorelle o è ciò che devono diventare? Al centro di questa importante enciclica c’è la convinzione che la fraternità è sia la nostra identità presente più profonda sia la nostra vocazione futura. Siamo invitati a diventare fratelli e sorelle in Cristo in un modo che ora non riusciamo quasi a immaginare. «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Giovanni 3, 2).

Si tratta in parte di un’avventura dell’immaginazione. Con immaginazione non intendo l’“immaginario”, la fantasia, bensì una trasformazione di come siamo nel mondo. L’immaginazione cristiana è la potenza dello Spirito Santo che ci conduce dentro ogni verità. È “il pensiero di Cristo” (1 Corinzi 2, 16).

Già nella Genesi è all’opera un’immaginazione fraterna che ci porta dalla rivalità fraterna omicida tra Caino e Abele, passando per le tensioni tra Isacco e Ismaele, Esaù e Giacobbe, Lia e Rachele, alla riconciliazione di Giuseppe con i suoi fratelli. Essere fratelli o sorelle non è solo e semplicemente una questione di discendenza biologica, bensì una crescita nella mutua responsabilità, costruendo la casa comune. Veniamo condotti dalla domanda del Signore a Caino «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Genesi 4, 9), all’abbraccio di Giuseppe ai suoi fratelli: «Io sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita»  (Genesi 45, 4-5). La Genesi pone il fondamento dell’esistenza d’Israele conducendoci al trionfo della fraternità sulla rivalità.

In Cristo, la storia d’Israele diventa il dramma costante dell’umanità. Apparteniamo già gli uni agli altri, ma siamo solo all’inizio nell’immaginare quel che significa. «Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese!» (Fratelli tutti, n. 281).

Il Papa parte dalla proclamazione di san Francesco d’Assisi di un amore «che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio» (Fratelli tutti, n. 1). Di fatto, come ha mostrato la Laudato si’, si estende a Fratello Sole e a Sorella Luna e all’intero creato. Il xiii secolo era pronto per questa visione della fratellanza universale. Le vecchie gerarchie feudali si stavano sgretolando; i mercanti, come il padre di Francesco, viaggiavano in tutto il mondo conosciuto: c’erano nuove forme di comunicazione e un nuovo senso del valore dell’individuo. L’uso fatto da san Francesco e da san Domenico dei primissimi titoli cristiani “fratello” e “sorella” conteneva una valenza utopica, la promessa di un mondo in cui gli stranieri che affollavano le nuove città sarebbero stati abbracciati.

Fratelli tutti si rivolge a una società che si trova di fronte a una sfida immaginativa altrettanto radicale. Nel nostro pianeta digitale, le vecchie istituzioni e gerarchie hanno perso la loro autorità; il futuro è incerto. Come ai tempi di san Francesco, l’incontro tra cristianesimo e islam è potenzialmente pericoloso. San Francesco si è messo in viaggio per incontrare il Sultano Malik-al-Kamil (cfr. Fratelli tutti, n. 3). Ora Papa Francesco tende la mano al Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Il sogno della fratellanza universale ha meno presa sull’immaginario collettivo rispetto al passato. «Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità del popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali» (Fratelli tutti, n. 11).

Il Papa ci sfida coraggiosamente a immaginare un altro modo di appartenere gli uni agli altri. Respinge l’attuale legittimazione del diritto assoluto alla proprietà privata: «La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata» (Fratelli tutti, n. 120). Il nostro mondo è diventato un immenso centro commerciale. Dal xvii secolo la falsa idea che tutto è in vendita cattura l’immaginario comune: terra, acqua, perfino gli esseri umani con l’esplosione della tratta degli schiavi. Il mio corpo è una mia proprietà della quale posso disporre come voglio, dal concepimento alla morte. Gli organi di esseri umani vengono mietuti per il mercato.

La cosa più straordinaria è che Papa Francesco sfida l’idea — centrale per il moderno stato nazione — che un paese ha un diritto assoluto alle proprie risorse e al proprio territorio: «Se ogni persona ha una dignità inalienabile, se ogni essere umano è mio fratello o mia sorella, e se veramente il mondo è di tutti, non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese. Anche la mia Nazione è corresponsabile del suo sviluppo, benché possa adempiere questa responsabilità in diversi modi» (Fratelli tutti, n. 125).

Questa affermazione è incredibilmente controcultura. Sovverte il presupposto essenziale della politica contemporanea. A qualcuno potrà sembrare ingenuo, o al limite disastroso. Come può aver senso quando in tutto il mondo si costruiscono muri e si pattugliano confini?

Tuttavia l’immaginazione cristiana nasce dalla potenza trasformatrice della croce e risurrezione di Cristo. Sulla croce Cristo ha abbattuto «il muro di separazione che era frammezzo» (Efesini 2, 14). Un’immaginazione pasquale è destinata a sembrare «stoltezza per i pagani» (1 Corinzi 1, 23) e a essere rifiutata da molti.

Questo non significa che deve fluttuare in uno spazio incorporeo. Esige di essere incarnata nelle strutture politiche. Un nuovo ordine mondiale fraterno dovrà prevedere «istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare. Quando si parla della possibilità di qualche forma di autorità mondiale regolata dal diritto, non necessariamente si deve pensare a un’autorità personale» (Fratelli tutti, n. 172). Le Nazioni Unite devono essere riformate.

In modo analogo, nel rendere il cammino sinodale fondamentale per il governo della Chiesa, il Papa invita i cattolici a re-immaginarsi come una comunità di fratelli e sorelle. Solo sulla base di una tale trasformazione culturale il vertiginoso invito di Fratelli tutti — abbracciare lo straniero come nostro fratello e sorella, membro della nostra famiglia — apparirà non come un terrificante sovvertimento di tutto ciò che ci è caro, bensì la via verso la casa comune a cui tanto aneliamo.

Mai nella storia umana ci sono state tante persone in movimento, in fuga dalla violenza e dalla guerra. Specialmente in Occidente, vengono presidiate le mura contro l’immigrante e lo straniero che, si teme, minerà le nostre comunità locali, la nostra identità e perfino la nostra sicurezza.

Come possiamo incominciare a vedere non degli estranei minacciosi, ma dei fratelli e delle sorelle? Anzitutto le nostre menti devono essere liberate dalla paura della diversità. Ogni cultura umana è viva solo se riesce a interagire in modo fecondo con ciò che è diverso. Ognuno di noi deve la propria esistenza individuale alla differenza feconda tra maschile e femminile. Se ci chiudiamo ermeticamente dinanzi allo straniero, le culture locali che ci stanno a cuore moriranno. L’albero davanti alla nostra finestra cresce perché, dalle sue radici più profonde fino alla cima dei suoi rami, si svolge uno scambio costante e donatore di vita con l’aria, il suolo, l’acqua e innumerevoli insetti e batteri. L’isolamento è mortificante.

Occorre un salto dell’immaginazione per vedere la fratellanza universale e la solidarietà locale come fattori che si rafforzano a vicenda. «Non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali. Non mi incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico» (Fratelli tutti, n. 143).

La feconda interazione con il mio fratello o la mia sorella sconosciuti è possibile solo se imparo a guardarli con sguardo trasfigurato, vedendo la loro umanità, la loro vulnerabilità e la loro bellezza. La comunicazione digitale astrae dalla nostra particolarità fisica. I media digitali espongono le persone a una «“progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche”. C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana» (Fratelli tutti, n. 43). Gesù legge il volto di ogni persona. «Egli infatti sapeva quello che c’è in ogni uomo» (Giovanni 2, 25). Se impariamo a guardarci gli uni gli altri con piacere, la sfida radicale del Papa non sembrerà più un ideale impossibile, bensì l’unica via per la gioia.

Infine, «una immaginazione fraterna» implica che parliamo agli altri come fratelli e sorelle. Il Papa intende il dialogo come molto più di uno scambio di idee. È il processo ascetico attraverso il quale si cerca di immaginare che cosa significa essere quell’altra persona, essere formati dalla sua cultura, provare la sua sofferenza e la sua gioia. In una conversazione tra fratelli o sorelle cerchiamo insieme nuove parole, apriamo uno spazio immaginativo in cui le barriere crollano. È ciò che Tommaso d’Aquino definisce latitudo cordis, allargamento del cuore.

Queste conversazioni ci portano al di là degli scambi che sono tipici dei social media, «un febbrile scambio di opinioni nelle reti sociali, molte volte orientato da un’informazione mediatica non sempre affidabile. Sono solo monologhi che procedono paralleli, forse imponendosi all’attenzione degli altri per i loro toni alti e aggressivi. Ma i monologhi non impegnano nessuno, a tal punto che i loro contenuti non di rado sono opportunistici e contraddittori» (Fratelli tutti, n. 200).

Sono anche molto diverse dal discorso della nostra vita pubblica e politica, che incita alla diffidenza verso gli altri e al disprezzo delle loro opinioni. La Parola di Dio ci invita a parlarci e ad ascoltarci gli uni gli altri, di modo che inizi ad aprirsi uno spazio immaginativo in cui i figli dell’unico Dio si sentano a casa gli uni con gli altri e nella vita divina.

di Timothy Radcliffe