· Città del Vaticano ·

Un perfetto esempio di memoria condivisa

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09 ottobre 2020

Il  convegno che si è svolto a Roma la scorsa settimana sul tema “La Breccia di Porta Pia nel centocinquantesimo anniversario (1870—2020)” — organizzato dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche e dall’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito italiano — è stato un perfetto esempio di memoria storica condivisa. Un secolo e mezzo fa gli eventi che portarono alla fine dello Stato pontificio e all’acquisizione di Roma come capitale del nuovo Regno d’Italia produssero una spaccatura verticale tra le due Rome che divenne spaccatura tra due Italie — quella laica e quella cattolica — con innumerevoli ed enormi conseguenze di carattere politico, culturale, sociale, partitico, diplomatico, internazionale. Fu la ben nota Questione romana, probabilmente la più grave e la più traumatica tra le tante “questioni” che complicarono la vita del giovane stato italiano. La spaccatura, come sappiamo si sanò sul piano istituzionale nel 1929, con la stipula dei Patti lateranensi, lasciando però conseguenze e veleni che si protrassero ben oltre quella data.

Ma nei due giorni del convegno romano (“L’Osservatore Romano” ne ha già parlato riferendo dell’intervento del cardinale Pietro Parolin) si è ricavato che nulla rimane di quel trauma e che le due istituzioni, la Chiesa cattolica e lo Stato italiano, hanno imboccato da tempo altre strade, archiviando il conflitto fra le cose del passato — che non ingombrano più il presente — e consegnandolo alle competenze degli storici.
 Una ventina di autorevoli relatori, italiani e stranieri, hanno ricordato tutti i molteplici aspetti delle vicende che si conclusero con le cannonate che all’alba del 20 settembre aprirono un varco nelle mura attorno a Roma e spianarono la strada all’ingresso delle truppe italiane in quella che stava per diventare la nuova e definitiva capitale del Regno d’Italia. Si è ricordato che il conflitto, che impegnò sul versante italiano più di 50.000 uomini, fu qualcosa di più di una passeggiata, che la difesa di Roma da parte delle truppe comandate dal generale Kanzler andò un po’ oltre il carattere simbolico richiesto da Pio ix , che le conseguenze internazionali della vicenda furono enormi, con echi profondi in tutte le cancellerie europee ed extra—europee (compresi paesi come la Russia, l’Impero ottomano, le repubbliche sudamericane, gli Usa).

Si è ricordato altresì che gli italiani avevano ottime ragioni per non poter rinunciare a Roma — l’unica città non municipale della penisola, l’unica che non divideva ma univa e unificava — come capitale del Regno nato nove anni prima. E dall’altra parte anche il Pontefice e la Curia avevano ottime e ineludibili ragioni per non rinunciarvi, temendo che la perdita della sovranità internazionale e della libertà politica potesse tramutarsi in asservimento del governo della Chiesa universale a interessi politici di parte o di partito o di alleanze internazionali. Non mancavano le voci forti, in particolare nel mondo massonico, che contavano sulla fine dello Stato pontificio per affossare definitivamente la Chiesa cattolica e le religioni rivelate.
 Una vicenda complicata e a suo modo grandiosa — oggi possiamo dirlo — quella che si svolse prima, durante e dopo quel 20 settembre. Una vicenda che letta a posteriori, con il distacco e la lucidità che solo il tempo permette di acquisire, inchioda in qualche modo i protagonisti — il Pontefice da una parte e il Governo italiano dall’altra — a parti precostituite, che non potevano essere abbandonate, come potrebbe sembrare oggi a chi legga quelle vicende senza calarsi nel dramma di quegli anni, prescindendo dai sentimenti — dalle paure e dalle speranze, dalle incognite e dalle attese — che muovevano i protagonisti di allora.

Pensando dunque alla violenza del conflitto che si aprì un secolo e mezzo fa nel cuore della cristianità e della nuova Italia, non si può fare a meno di rimarcare la perfetta consonanza di vedute che si è avuta invece nei due giorni del convegno, che ha visto accomunati nell’organizzazione, nella gestione e nelle comuni conclusioni, i vinti (la Curia romana rappresentata dal pcss ) e i vincitori (l’esercito italiano) di ieri. Per questo bisogna parlare in questo caso di memoria storica perfettamente condivisa, quella memoria storica che invece continua, purtroppo, a dividere la rievocazione di tante altre vicende del passato europeo, lontano e recente. La Chiesa cattolica e l’Italia hanno fornito un bell’esempio di come il ricordo sereno e non preconcetto del passato possa unire anziché separare.

Oggi la Chiesa si è trasformata, nell’arengo mondiale, in una grande forza spirituale e morale anche  grazie alla fine, quasi provvidenziale, dell’ingombro rappresentato dal potere civile su una porzione dell’Italia. E l’Italia ha compiuto il proprio cammino unitario, proiettandosi verso più larghi orizzonti sovrannazionali, anche  grazie all’insediamento in una città come Roma. Le vie della storia, insomma, sono tortuose e imprevedibili e diventa chiaro dopo , molto tempo dopo, quello che non era affatto chiaro prima  e durante . I due giorni del convegno romano ce ne hanno fornito una nuova conferma.

di Gianpaolo Romanato