· Città del Vaticano ·

Protagoniste

Religiose africane abbiate fede in voi

Solange Sia, il giorno della discussione della tesi di dottorato (foto da lei fornita)
24 ottobre 2020

Solange Sia, la prima teologa ivoriana, solleva alcuni problemi


A 43 anni, suor Solange Sia, religiosa della congregazione di Nostra Signora del Calvario, è la prima donna dottore in teologia dell’Università cattolica dell’Africa occidentale ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Con lei parliamo di questioni e problemi che riguardano le donne e la Chiesa, dallo studio della teologia agli abusi.

Donne e teologia

«In una Chiesa africana dove tre quarti dei laici impegnati sono donne, la loro presenza in teologia è quasi insignificante nell’area geografica dell’Africa subsahariana e in particolare in Costa d’Avorio. Solo alcune donne laiche e consacrate cercano di acquisire rudimenti di teologia in brevi corsi di formazione teologica per laici. Parallelamente, qualche congregazione religiosa comincia, ma timidamente, a iscrivere le sue suore alla facoltà di teologia. Ė vero che da parte di alcuni uomini si può sospettare l’intenzione di confiscare il potere non facilitando l’emulazione e la promozione dello studio di teologia da parte delle donne.

Ma è anche importante ricordare le difficoltà inerenti alle donne stesse. Alla base c’è il fatto che molte donne ritengono che lo studio della teologia abbia come fine il sacerdozio. Non distinguono tra percorso formativo in seminario e studi teologici. Non provano alcun interesse fino a quando non incontrano qualche donna teologa. Solo allora cominciano a porsi interrogativi! L’altra difficoltà è economica. Anche se fossero interessate, come potrebbero pagarsi la formazione? E poi se sono donne laiche, quale autorità può garantire loro di mettere in pratica le conoscenze acquisite? ».

Il ruolo delle donne nella Chiesa in Africa

«Parlare dei problemi delle donne nella Chiesa africana è a volte complesso perché non è facile delineare un contorno di volti femminili, che sono sfaccettati. Di quali categorie di donne si tratta? Di donne sposate, celibi, religiose, donne provenienti da aree urbane o rurali, donne d’affari, analfabete, e altro ancora. Senza dedicarmi a questo tedioso esercizio, direi, in base alle mie esperienze pastorali, che le donne cristiane africane del mio ambito hanno assimilato a fondo un’ecclesiologia piramidale e fortemente maschile, se non addirittura patriarcale. Sebbene la presenza femminile sia diventata indispensabile alla Chiesa, e questo a tutti i livelli della vita ecclesiale, molte donne si considerano “assistenti”, e difficilmente prendono iniziative, cosa che invece fanno volentieri nelle associazioni civili. A un certo livello si osserva una corresponsabilità tacita e sottile, ma nella maggior parte dei casi le donne non hanno ancora preso pienamente coscienza della qualità dell’apporto femminile nella costruzione della Chiesa-famiglia.

«Segnate da un profondo complesso d’inferiorità, tante si ritengono incompetenti in una Chiesa molto organizzata, con le sue leggi. Non hanno la libertà di esprimersi e stanno quindi attente a non essere penalizzate o biasimate dai dirigenti della Chiesa. Non hanno dunque preso ancora pienamente coscienza di essere parti motrici nell’annuncio della Buona Novella di Cristo in Africa. Tra l’altro, se in Europa le questioni riguardanti la responsabilità delle donne o il potere decisionale suscitano importanti dibattiti nella Chiesa e nella società civile, questa non sembra essere per il momento la preoccupazione delle donne nella Chiesa in Africa».

Le donne nella Chiesa e per la Chiesa

«Vorrei fare alcune proposte. Nelle strutture e negli istituti di formazione, università, seminari, noviziati, bisogna pensare a mettere in atto strategie dinamiche di trasformazione mentale e culturale. Occorre inoltre promuovere nelle nostre facoltà in Africa corsi d’introduzione agli studi femminili. Va anche dato maggior spazio alle donne nei centri di formazione, nel presbiterato. Che siano presenti come insegnanti o come consigliere piscologiche.

«Occorre ideare pure programmi di formazione ai quali possano partecipare insieme uomini e donne e che riguardino la psicologia femminile e maschile, l’immagine della donna nelle arti e nei media, la famiglia e il matrimonio, i problemi attuali delle donne nella storia africana, le donne e la religione, il patriarcato e altro ancora, e condurre riflessioni più integrate. Vanno promosse letture e interpretazioni della Bibbia per le donne come si fa altrove. Il modo di vivere come Chiesa in maniera più evangelica dovrebbe consistere in un dialogo tra il femminile e il maschile. Una complementarità evangelica in cui il femminile nobile interrompa i meccanismi del potere e divenga lo strumento di azioni creatrici. Se la Chiesa in Africa giungerà a questa organizzazione sfaccettata, intellettuale, umana, spirituale, allora il Vangelo si radicherà veramente nei cuori».

Abusi commessi nei confronti delle religiose

«Non sono certa di conoscere l’entità della questione degli abusi nell’ambito della vita religiosa in Africa. Contrariamente a quanto accaduto in America, dove la Chiesa ha reso accessibili le statistiche, e più tardivamente in Europa, con la testimonianza di ex religiose vittime di abusi, la vita religiosa in Africa (e non delle religiose africane che vivono in Occidente) è ancora molto riservata sulla questione degli abusi sessuali. È necessario un lungo processo per far sì che le religiose parlino tra loro o con una psicologa su casi di abuso non necessariamente vissuti all’interno della vita religiosa, ma anche mentre erano in famiglia. D’altronde, l’abuso più evidente nella vita religiosa è l’abuso di potere e di fiducia. I fattori sono molteplici.

«Sul piano culturale e teologico, l’errata comprensione del sacro e dell’uomo consacrato favorisce una certa idealizzazione degli uomini di Dio e una sacralizzazione dei responsabili religiosi. Sul piano sociale, si può ricordare l’insicurezza, la povertà materiale e finanziaria delle famiglie delle religiose e degli istituti religiosi che le accolgono. A volte ci possono essere forti ineguaglianze, se non addirittura discriminazioni tra le religiose. In effetti, non è raro costatare che all’interno di una stessa congregazione i membri originari che vivono in Europa possono permettersi vacanze, cure adeguate, un’alimentazione sana, grandi case talvolta vuote, mentre le loro consorelle delle provincie africane, che si trovano in realtà d’ingiustizia politica e sociale, non hanno neppure di che vivere.

«A livello d’istituzione ecclesiale si può inoltre segnalare un’ingiustizia che si è sottilmente insinuata nel corso dei secoli. La Chiesa nella sua organizzazione si è impegnata a offrire ai giovani che s’interessano alla vita sacerdotale una formazione molto completa. Mentre la Chiesa si preoccupa di formare i sacerdoti, gli istituti religiosi, soprattutto femminili, a volte si accontentano di dare solo quei pochi rudimenti necessari alla vita religiosa. Sebbene la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostoliche raccomandi la formazione negli istituti religiosi, si constata che, per quanto riguarda le donne, la decisione è lasciata spesso alla buona volontà delle superiore. Così donne con doti intellettuali e spirituali che potrebbero dedicarsi agli studi teologici non hanno l’opportunità di farlo. Un piccolo sondaggio svolto in alcune congregazioni religiose femminili in Costa d’Avorio, sia locali sia internazionali, ci ha permesso di constatare che delle circa cinquanta congregazioni presenti pochissime iscrivono i propri membri in un istituto di formazione superiore».

di Marie Cionzynska