· Città del Vaticano ·

Nel docufilm «Time» una straordinaria storia di resilienza

La famiglia è tutto e tutto è famiglia

Sibil Richardson
28 ottobre 2020

È dura per Sibil, giovane donna afroamericana, crescere sei figli piccoli con il marito Rob in prigione, dove sta scontando un’abnorme condanna a 60 anni per una sciagurata rapina in banca. Un folle colpo dettato dalla disperazione di un momento difficile all’inizio degli anni Novanta, dopo l’euforia di un negozio aperto nella loro cittadina, Shreveport, in Louisiana, e la successiva crisi, con i conti che non tornano più. Vi aveva partecipato anche lei, ma la condanna era stata molto più lieve; inoltre al momento dell’arresto era incinta di due gemelli. Rob, che ha rifiutato il patteggiamento, dopo 21 anni è ancora dietro le sbarre. Ma Sibil non si arrende. Da quando è uscita di prigione ha fatto di tutto per tenere unita la famiglia, cercando di garantire ai figli una vita normale e di mantenere vivo in loro il ricordo del padre. In casa ha persino appeso una sua gigantografia.

Nel frattempo la donna si è impegnata in una ininterrotta campagna pubblica per il rilascio del marito. Perché — questo il suo mantra — «la famiglia è tutto e tutto è famiglia». Una lotta estenuante, caparbia, durante la quale è stata sostenuta dalla famiglia e dalla locale comunità cristiana afroamericana che non ha mai smesso di frequentare, sperando, anno dopo anno, che il prossimo Natale fosse quello del ritorno a casa di Rob, quello da cui ripartire.

È la trama di Time, il toccante docufilm di Garrett Bradley, visibile sulla piattaforma Amazon Prime video, che ricostruisce la storia vera di Robert e Sibil Richardson e dei loro sei ragazzi, combinando i video-diari che la donna ha girato in due decenni per il marito e le immagini della sua vita attuale, quelli dell’attesa. Il regista riesce a mostrare in questo modo non solo la realtà di un amore incondizionato — nato al liceo — ma anche la straordinaria resilienza di Sibil, eroina suo malgrado. Una paladina in difesa della famiglia e della dignità dei detenuti, determinata a non arrendersi dinanzi a una giustizia colpevole di aver condannato i suoi figli a vivere per troppo tempo senza un padre.

Sullo schermo scorrono le immagini che dovranno raccontare a Rob tutto quello che si è perso: la quotidianità in casa, i giochi, le feste, i progressi scolastici dei suoi ragazzi, il loro impegno per ottenere risultati eccellenti negli studi, con i diplomi e le lauree orgogliosamente conquistati. Fotogrammi che il sapiente montaggio alterna con quelle in cui Sibil è impegnata in incontri pubblici con altre famiglie distrutte dalla detenzione di uno dei componenti, perlopiù uomini, durante i quali parla della situazione del marito, esempio della condizione degli afroamericani discriminati e vessati anche da un sistema giudiziario e carcerario che nei loro confronti si dimostra molto più inflessibile e severo. Le scene del presente riprendono invece la donna nella routine familiare, nella gestione di un’attività commerciale, nel contatto fatto di snervanti attese con l’ufficio del giudice per capire se il marito otterrà la libertà condizionale e, soprattutto, nel sostenere psicologicamente Rob, alimentando in lui la speranza che presto tornerà a casa. Una speranza sorretta anche da una profonda fiducia nella provvidenza divina, che finora li ha aiutati ad accettare e a superare le tante delusioni.

Come intuibile dal titolo, in Time l’altro grande protagonista è il tempo. Il tempo che scorre lento e inesorabile, che taglia trasversalmente senza un ordine cronologico la storia e le vite dei protagonisti; non separandole però, semmai legandole ancora di più. Un tempo sapientemente uniformato da un elegante bianco e nero e dalla voce fuoricampo dell’indomita Sibil. Una voce intima e coraggiosa, che racconta il suo amore per Rob, la sua fede incrollabile, la sua convinzione che nessuna separazione, per quanto prolungata, può prevalere sugli affetti veri, quelli capaci di resistere alle avversità e al tempo. Quel tempo che, quando finalmente Rob ottiene la libertà condizionata, si ferma. E torna indietro.

Il nastro degli ultimi vent’anni della famiglia Richardson si riavvolge, velocemente, quasi a voler ricomporre ciò che è stato interrotto. E quando giunge al termine, senza aver perso alcuno dei ricordi, sembra dire che sì, ora si può ricominciare a vivere. Stavolta tutti insieme. Una famiglia.

di Gaetano Vallini