«Se un bambino scrive nel suo quaderno “l’ago di Garda”, ho la scelta tra correggere l’errore con un segnaccio rosso o blu o seguirne l’ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo ago importantissimo, segnato anche nella carta d’Italia. La luna si specchierà nella punta o nella cruna? Si pungerà il naso?» (Gianni Rodari, Grammatica della fantasia , 1973).
L’«ardito suggerimento» di vedere in ciò che consideriamo un errore (dal latino errare , andare senza meta), il potenziale creativo e umano che va oltre l’apparenza, che apre porte sconosciute e può raccontare altri aspetti del mondo, quelli un po’ confusi o quelli che pungono, è stato pienamente accolto nel volume coraggioso e ben fatto Vi stupiremo con difetti speciali di Patrizia Rinaldi e Francesca Assirelli (Firenze, Giunti, 2020, pagine 250, euro 14).
Tre storie belle di immagini, narrate col linguaggio simbolico e leggero delle fiabe (inguaribilmente ottimista), dove il buono è normale e le situazioni complesse e dolorose figurano semplici, senza lamenti e senza essere rimosse, dove forma e contenuto si sostengono in un orizzonte costruttivo e di forte empatia col lettore. Come sempre l’eroe o l’eroina – in questo caso anche voce narrante — è all’inizio di un percorso a ostacoli, ci sono gli antagonisti, gli abbandoni, ma anche gli aiutanti e i mezzi magici, le sedie volanti, i fiori musicali, i tanti sassolini di Pollicino per farsi guidare lontano dagli orchi e costruire passo passo tutto il lieto possibile. Protagonista della prima storia è Alba, che ha diciotto mesi e un gatto. «Non so se Giorgio sia un gatto down, io sì, cioè sono una bambina down (...). Non ti devi preoccupare, Giorgio: sei bello anche se non sei down». Il papà di Alba è Elle. Elle è anche mamma, fratello grande, sorella piccola e potrebbe essere addirittura un altro gatto. La mamma vera ha lasciato Alba in ospedale per via di quel cromosoma in più, ma poi è arrivato Elle che l’ha voluta con tutta la forza del suo amore. Loro due e il gatto sono una famiglia bella e fortunata ed è bello dirsi, di sera e senza aggiungere altro, «abbiamo bisogno di noi». A volte l’amore è anche nervoso, come la coda di Giorgio, ma c’è sempre quando le cose si fanno difficili e capiterà ancora che lo siano «è inutile fare finta di no», ma l’amore sa giocare e soprattutto non si arrende. La seconda storia è quella di Akin. «I miei genitori non mi volevano. O meglio non volevano il mio corpo perchè non funzionava come il loro». Abitava in una casa buia, stava solo per terra, mangiava, dormiva e spesso si nascondeva per terra e anche le sorelle avevano imparato a non volerlo. Poi gli è «piovuta addosso una vita nuova»: una casa che non è un pavimento, un vero letto, la tavola, una «sedia che non era una sedia e basta, era una liana, una motocicletta che sfreccia, un rifugio di libertà». Ora nessuno lo scansa più, anzi «vieni qua, fatti toccare, fatti guarire. Lo hanno imparato pure le mie sorelle». Per Akin non è stato facile fare spazio alla fiducia, «la speranza non è mica la roba facile che vogliono farci credere: (...) è più difficile di una lotta contro i mostri» e non sa ancora se il male si dimentica, ma di certo «sta imparando il bene» con un corpo da riparare, due sorelle e gli amici «che lo prendono per mano e sorridono “ora ci siamo noi”».
Huang è il protagonista della terza storia. Huang è nato con una particolarissima condizione a causa della quale i medici hanno stabilito che «non sarei sopravvissuto a lungo più di tanto. Mia madre e la mia famiglia accettarono il giudizio. La scienza va rispettata». Però, sempre rispettando la scienza, ogni sera la mamma gli racconta una storia, naturalmente, come ha sempre fatto con gli altri fratelli, anche quando erano troppo piccoli per capire. È la storia di una piccola foglia attaccata allo stelo di un fiore bellissimo, entrambi raccolti e messi in vaso con l’acqua davanti a un letto. Dal letto proviene un canto. Per quel canto, e non solo per l’acqua che una mano aggiunge al vaso, da sotto la foglia sboccia un piccolo fiore nuovo. «Quando mia madre finì di raccontarmi la storia cantai. (...) Cantai la canzone che aveva imparato la foglia», forse non è proprio un canto e non sempre Huang ha la forza per ripeterlo, ma quando lo fa «mia madre conosceva la felicità».
«Ci fu un tempo, che ogni suono aveva senso e significato. A quel tempo anche gli uccelli e i fiori avevano il loro linguaggio, che tutti capivano» (Fratelli Grimm, Il re di macchia , 1972).
di Nicla Bettazzi