· Città del Vaticano ·

DANTE E I PAPI
Il dantismo ermeneutico di Pio XI

La Divina Commedia
sempre sullo scrittoio

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16 ottobre 2020

Se si osservano con la lente del Vangelo gli anni del papato di Pio XI, ci sembra di vedere la scena descritta in Matteo , 14, 22-32: la barca dei discepoli è agitata dalle onde a causa del vento contrario, Gesù cammina sulle acque e dice «Coraggio, sono io, non abbiate paura» e Pietro scende dalla barca e cammina anche lui sulle acque, andando verso Gesù. Negli anni 1922-1939 la barca della Chiesa attraversava acque molto agitate e tempestose, che, nell’anno della morte del Papa, segnarono l’inizio della seconda guerra mondiale, ma Pio XI  tenne ben salda la barra del timone, riuscendo, con la sua fede in Cristo a camminare sulle acque della Storia. In lui l’umanesimo cristiano di Dante genera un progetto “politico” il cui fine è di ricondurre l’umanità intera ai principi cristiani irradiati dalla sede di Pietro.

La formazione di Ambrogio Damiano Achille Ratti ha profonde radici teologiche, filologiche e storiche: laurea in teologia alla Sapienza, in diritto canonico alla Gregoriana, in filosofia presso l’Accademia S. Tommaso (1882). Dottore presso la Biblioteca Ambrosiana ne divenne prefetto nel 1907. Secondo la testimonianza di Padre Gemelli, Ratti si dedicava alla lettura di Dante durante le pause del suo lavoro di bibliotecario e, divenuto Papa, aveva sempre sul suo scrittoio accanto alla Sacra Scrittura, al Codice di Diritto Canonico  e all’Annuario Pontificio, una copia della Divina Commedia  e dei Promessi Sposi . Nel 1911 Pio X lo nomina prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana ed egli si impegna a potenziare la biblioteca, cercando, invano, di ottenere la Biblioteca Chigiana, scrigno di tesori danteschi, fondata da Alessandro VII, arricchendo l’eredità di Pio II. Mussolini nel 1923 ne avrebbe fatto dono all’antico prefetto, divenuto papa Pio XI. Nel 1918, sotto gli auspici di Benedetto XV, comincia l’attività diplomatica di Ratti in Polonia, Lituania e Slesia, attività che precede la porpora cardinalizia (e la nomina ad arcivescovo di Milano) ricevuta nel Concistoro pubblico del 15 giugno 1921. In un discorso alla sua diocesi, il cardinale Ratti esalta la figura del Papa e il suo ruolo nella grave crisi politica che sta vivendo l’Italia: «Quale prestigio e quali vantaggi potrebbero dalla sua presenza derivare al nostro Paese, quando fosse tenuto nel debito conto del suo essere internazionalmente e sopranazionalmente sovrano». In queste parole cogliamo l’eco delle encicliche di Benedetto XV, la sua appassionata difesa della pace. Pertanto, eletto Papa il 6 febbraio 1922, Ratti si mosse su quel sentiero, sapendo benissimo di camminare in un terreno minato, in Italia, in Europa e nel mondo intero. Non era più possibile l’autoreclusione in Vaticano, occorreva scendere dalla barca e camminare sulle acque per portare Cristo e la sua regalità al mondo.

In questo contesto si inserisce il dantismo di Pio XI che si annuncia subito dopo la sua elezione, nel discorso indirizzato ai predicatori quaresimalisti (27 febbraio 1922). In esso si sottolinea la sacra romanità del Papa, riferendosi esplicitamente a Purgatorio , XXXII, 102, quando Beatrice preannuncia a Dante il suo destino eterno: «E sarai meco sanza fine cive / di quella Roma onde Cristo è romano», versi così interpretati da Pio XI: «Tale magnifica missione (…) è la vostra, in questa Roma, che è cuore e centro della cristianità, in questa Roma, onde anche Cristo è romano» (cfr. Discorsi di Pio  Discorsi di Pio XI, 1960). Sono versi che ritornano nel discorso Ai professori ed alunni dell’Università Gregoriana  (21 novembre 1922): «Questa romanità che siete venuti a cercare in quella Roma eterna della quale il grande poeta (…) perché poeta della filosofia e della teologia cristiana, proclamava Cristo Romano, si faccia signora del vostro cuore, così come Cristo ne è Signore», nell’udienza riservata alle studentesse polacche (21 aprile 1924): «Non si è pienamente cattolici se non si è romani, ossia figli di questa Chiesa Romana, di cui il capo sempre presente nel suo Vicario è Cristo, che perciò romano anche Egli. È vero che quando Dante dice Cristo romano parla (…) della Roma celeste, il Paradiso; tuttavia resta sempre vero che è da qui, da questa Roma terrena che Egli comincia ad essere romano, facendo di Roma la sua sede nella persona del Suo Vicario», e ancora nel saluto rivolto ai pellegrini di Cremona (15 febbraio 1925), nell’udienza degli universitari cattolici (23 marzo 1926) e, negli anni Trenta, nell’incontro con gruppo di studenti asiatici (27 dicembre 1933), e nel discorso indirizzato ai giovani del Collegio Propaganda Fide (14 agosto 1935). L’ermeneutica dantesca di Pio XI  è sommamente rilevante per due ordini di motivi: da una parte ritrova il senso e il significato originari della cattolicità di Dante, in un’epoca in cui l’Alighieri era il vessillo dell’anticlericalismo e il rifugio dell’estetismo dannunziano, dall’altra si sposa con la politica concordataria e con la soluzione della “questione romana”. Riguardo al primo ordine di motivi non ci stupisce la continuità con i suoi predecessori vicini (Leone XIII , Pio X  e Benedetto XV ) e lontani (Pio II, Alessandro VII), nel desiderio di avvicinarsi il più possibile al “valore dell’originale” dantesco. Infatti si consideri che romano , nel linguaggio dantesco, specialmente in  Monarchia , è l’aggettivo riservato alle due autorità universali: romanus Princeps   e romanus Pontifex  (Monarchia ,III ,I ,5), in cui il sommo ufficio è considerato il grado di potenza terrena oltre il quale c’è solo l’Onnipotenza divina. L’alto significato attribuito alla Romanità risulta evidente proprio nei versi scelti da Pio XI quasi come una bandiera del suo pontificato. In essi il Papa legge quanto evidenziato da Benvenuto da Imola a proposito di Purgatorio , XXXII, 102: «Et nota quod potius facit mentionem de Roma quam de Ierusalem hic quia Roma in tempore gratiae fuit patria istius cursus, sedes pontificum, terra madida sanguine martyrum, patria libertatis, unde omnis liber homo appellatur “civis romanus” in Iure civili ».

Roma è la città di Dio perché è la sede del Vicario di Cristo sulla terra: è la città del Papa. Conseguentemente la nascita dello Stato Vaticano, riconosciuta dai Patti Lateranensi  è l’approdo di un percorso che riconosce nella sede pontificia di Roma il ruolo-guida dell’intera cristianità. Il progetto emerge fin dalle due prime encicliche Ubi arcano Dei  (23 dicembre 1922) e  Quas Primas  (11 dicembre 1925) con cui Pio XI affronta la politica internazionale nella prospettiva di una restaurazione del Regno di Cristo, “regalità” esaltata dall’istituzione della festa di Cristo re  e, in linea con gli appelli di Benedetto XV , chiedendo agli Stati di regolarsi «secondo gli ordini di Dio e i principi cristiani nello stabilimento delle leggi, nell’amministrazione della giustizia, nella formazione intellettuale e morale della gioventù» e l’Azione cattolica sarebbe stata lo strumento più efficace per rinnovare la presenza della Chiesa nella vita pubblica, in ogni parte del mondo. La politica concordataria, di cui Pio XI sarà protagonista, riguarda l’Italia, l’Europa e gli Stati extraeuropei: dal concordato con la Lettonia (1922) ai concordati austriaco e germanico (1933) e jugoslavo (1935), con la Baviera (1924), Polonia (1926), Lituania (1927), Romania (1927), Cecoslovacchia (1928), Italia (1929), Prussia (1929), Baden (1932) e, tramite gli accordi parziali (1924 e 1926), con la Francia, con il Portogallo e con l’Ecuador (1937). Le strutture normative e quelle sistematiche delle relazioni tra Chiesa e Stato si caratterizzarono nel senso della bilateralità, della consacrazione civile dei principi fondamentali del diritto canonico, del riconoscimento reciproco delle istituzioni e dei contesti sociali. Nell’arco del pontificato, caratterizzato da una successione senza precedenti di 500 beatificazioni e di 33 canonizzazioni, tra cui Giovanni Bosco, conosciuto personalmente da Ratti nel 1882, furono istituite 128 sedi arcivescovili e 113 prefetture apostoliche, mentre una fitta rete missionaria raggiunse i cinque continenti. Dopo aver trasferito da Lione a Romasarà protagonista, riguarda l’Italia, l’Europa e gli Stati extraeuropei: dal concordato con la Lettonia (1922) ai concordati austriaco e germanico (1933) e jugoslavo (1935), con la Baviera (1924), Polonia (1926), Lituania (1927), Romania (1927), Cecoslovacchia (1928), Italia (1929), Prussia (1929), Baden (1932) e, tramite gli accordi parziali (1924 e 1926), con la Francia, con il Portogallo e con l’Ecuador (1937). Le strutture normative e quelle sistematiche delle relazioni tra Chiesa e Stato si caratterizzarono nel senso della bilateralità, della consacrazione civile dei principi fondamentali del diritto canonico, del riconoscimento reciproco delle istituzioni e dei contesti sociali. Nell’arco del pontificato, caratterizzato da una successione senza precedenti di 500 beatificazioni e di 33 canonizzazioni, tra cui Giovanni Bosco, conosciuto personalmente da Ratti nel 1882, furono istituite 128 sedi arcivescovili e 113 prefetture apostoliche, mentre una fitta rete missionaria raggiunse i cinque continenti. Dopo aver trasferito da Lione a Romal’Oeuvre pour la propagation de la Oeuvre pour la propagation de la Foi  (1922), Pio XI inviò monsignor Celso Costantini come delegato apostolico in Cina e consacrò nel 1926, in San Pietro, i primi sei vescovi di quel Paese. Inviati papali raggiunsero l’Indocina, il Sud Africa, l’Africa inglese e il Congo belga. Fin dalla Rerum Ecclesiae   (1926), Pio XI aveva  voluto separare nettamente l’opera di evangelizzazione da qualsiasi interesse politico delle potenze europee e favorire l’educazione del clero indigeno. È un piano provvidenziale che sembra realizzare gli auspici di Dante: «Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo, / due soli aver, che l’una e l’altra strada / facean vedere, e del mondo e di Deo» (Purgatorio , XVI , 106—108), «Illa igitur reverentia Cesar utatur ad Petrum qua primogenitus filius debet uti ad patrem: ut luce paterne gratie illustratus virtuosius orbem terre irradiet, cui ab Illo solo pefectus est, qui est omnium spiritualium et temporalium gubernator » (Monarchia , III, 16, 18).

di Gabriella M. Di Paola Dollorenzo