· Città del Vaticano ·

Il segretario di Stato a un convegno al Senato per i 150 anni dall’annessione di Roma al Regno d’Italia

La Breccia di Porta Pia fu un trauma provvidenziale per la Chiesa

La Breccia di Porta Pia in una litografia del tempo
02 ottobre 2020

«La missione del papato ne acquistò tantissimo nella sua dimensione universale e anche nella sua indipendenza. Dobbiamo leggere la storia nei lunghi periodi, aspettare che si realizzino i tempi di Dio che non sono i nostri». Si è espresso così il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin intervenendo venerdì mattina, 2 ottobre, al convegno al Senato nel centocinquantesimo anniversario della Breccia di Porta Pia.

Il segretario di Stato, nella sua prolusione sul tema «Il 20 settembre nella memoria della Santa Sede», ha rimarcato che «la creazione dello Stato della Città del Vaticano e delle zone extraterritoriali permise a Pio XII di mettere al riparo tante persone ricercate dal regime nazista e dalle truppe di occupazione della città di Roma». Il porporato ha messo in luce dunque che «da Porta Pia ai nostri giorni, non c’è dubbio: nella memoria della Santa Sede c’è la certezza dell’azione di Dio e della sua Provvidenza. Così — ha ricordato il cardinale Parolin — si esprimeva il cardinale Giovanni Battista Montini, allora arcivescovo di Milano a proposito di Porta Pia, e poco prima della sua elezione al Soglio pontificio. Cito: “Parve un crollo. E per il dominio territoriale pontificio lo fu. Ma la Provvidenza ora lo vediamo bene aveva diversamente disposto le cose, quasi drammaticamente giocando negli avvenimenti”». Il segretario di Stato ha ripercorso le visite dei Papi in Campidoglio. «Un secolo dopo Pio IX, Paolo VI tornò in Campidoglio, nella sede del Comune di Roma, il 16 aprile 1966, e tenne, in questa solenne occasione, un discorso che riassume e illustra il pensiero del Successore di Pietro sugli eventi legati all’episodio di Porta Pia — ha detto —. Come se la presenza del Papa in Campidoglio suscitasse qualche sorpresa, Paolo VI aggiunse: “Il Papa in Campidoglio. Questo è un ritorno; Noi non siamo forestieri qui dentro; quante memorie, quanti monumenti lo dicono! Ma quale ritorno? Qua venne, circa un secolo fa, Pio IX; ma quanto diversamente. Noi non abbiamo più alcuna sovranità temporale da affermare quassù. Conserviamo di essa il ricordo storico, come quello d’una secolare, legittima e, per molti versi, provvida istituzione di tempi passati; ma  oggi  non abbiamo per essa alcun rimpianto, né alcuna nostalgia, né tanto meno alcuna segreta velleità rivendicatrice. Però, anche se un’altra minuscola sovranità temporale, quasi più simbolica che effettiva, Ci qualifica nei vostri riguardi liberi e indipendenti, non Ci mancano i titoli per appartenere al popolo di Roma; e Noi volentieri Ci sentiamo fieri ed onorati di far Nostra la professione di San Paolo, come quella d’un’eccellente umana dignità:  Civis Romanus, cittadino romano (cfr.  Act.  16, 21; 22, 25-29): teniamo anche Noi a proclamarci tali”. Quando Giovanni Paolo II si recò a visitare la giunta comunale il  15 gennaio 1998  sintetizzò in poche parole la sintonia tra la storia e la vocazione di Roma, tra la società civile della capitale d’Italia e la Roma Cristiana aperta sul mondo intero. Qui — ha proseguito il cardinale Parolin — si ritrovano la Roma civile e la Roma cristiana, disse san Giovanni Paolo II — non contrapposte, ma unite insieme nel rispetto delle differenti competenze, della passione per questa città e dal desiderio di renderne esemplare il volto per il mondo intero — ha evidenziato il cardinale — Anche Benedetto XVI sulle orme del predecessore visitò il Campidoglio il  9 marzo 2009  nella memoria di Santa Francesca Romana, e manifestò la continuità della vocazione di Roma attraverso le vicende della storia. Roma, centro della civiltà latina e cristiana, madre accogliente dei popoli, e discepola della verità».

La Chiesa non sottovaluta la portata della Breccia Porta Pia, ma la inquadra in un contesto più ampio. «Faccio due osservazioni. L’episodio di Porta Pia è stato letto, e credo giustamente, come una interruzione, come un trauma, sia per la perdita del potere temporale del Papa sia per la forte opposizione, che ne conseguì tra il Regno d’Italia e la Santa Sede — ha detto il cardinale —. Ma nella storia bimillenaria della Chiesa il 1870 fu soltanto una tappa. Credo invece che si debba considerare la storia delle relazioni tra la Santa Sede e lo Stato italiano, secondo il canone della continuità, in una progressiva evoluzione, una volta superata la fase conflittuale, avendo come obiettivo una cooperazione tra le due istituzioni sottolineata dalla firma concomitante del Trattato del concordato. La seconda osservazione deriva dalla prima, questi due accordi uno destinato ad assicurare l’indipendenza del romano Pontefice e l’altro a tutelare l’attività della Chiesa in Italia, sottolineavano il carattere spirituale, pastorale della Chiesa  e del suo capo, il Papa».

di Alessandro Guarasci