· Città del Vaticano ·

L’influenza di Michelangelo sulla poetica di Ungaretti

Uno straordinario appiglio per non cadere nel vuoto

«È Michelangelo che mi ha indicato la strada» scrisse Ungaretti nelle «Note»
18 settembre 2020

«È un grande, è Michelangelo che mi ha indicato la strada». Così affermava nelle Note che accompagnano l’edizione mondadoriana del Sentimento del tempo Giuseppe Ungaretti, di cui quest’anno cade il cinquantesimo della morte.

L’affermazione si colloca in un contesto quasi esclusivamente incentrato su Roma e il barocco e su una suggestiva rilettura dell’opera michelangiolesca, della quale Ungaretti svela profili inediti rispetto alla precedente storiografia, dichiarando apertamente il fascino suscitato dalla sua opera non solo nelle Note, ma anche nei suoi saggi. In Invenzione della poesia moderna  riguardo al Buonarroti scrive: «Il mestiere degli antichi non gli basta per dire quello che ha da dire. Avverte già che quel sapere degli altri lo allontana da se stesso, dalla natura… Chiede anima e non mestiere. Nelle muscolature che si tendono e si torcono, nei corpi che si divincolano ciclopici è entrato uno spasimo dell’anima: pietà! C’è sempre la voce degli altri mescolata alla sua… Come farebbe a non esserci? E riprende la mazzuola… e ripicchia il suo sasso… Era entrato un gran dramma nella vita: il mondo s’era accorto di non sapere più che cosa fosse: se cristiano, se antico, se campato nel mestiere, se abbandonato da Dio… E da qui verrà il barocco, la disciplina delle forme ottenute per assurdo: sconquassandole».

Michelangelo è per Ungaretti l’anticipatore dell’horror vacui del barocco, il primo a intendere e a esprimere il precipitare dei tempi, «l’atleta del tormento di tre secoli» lo definisce.

Rimanda ai Prigioni, alle Pietà ultime non compiute, le più drammatiche che la creazione artistica abbia mai prodotto. E se queste considerazioni da un lato offrono indicazioni riguardo la modalità e la profondità dell’approccio ungarettiano all’opera di Michelangelo, dall’altra rivelano anche un dato importante: l’attenta lettura del canzoniere buonarrotiano.

Negli anni formativi del Sentimento del tempo, Ungaretti opera un recupero della tradizione letteraria, impegnandosi in una faticosa e sofferta recherche dei suoi antenati e delle sue radici culturali. Ed è nella linea petrarchesca italiana che il poeta viene ad incontrare e ad assimiliate il modello michelangiolesco, collocandolo come importante riferimento nella genesi del Sentimento. Il riferente buonarrotiano è esplicitamente evidenziato all’interno del suo milieu culturale. Il nome di Michelangelo ricorre nell’elenco compilato dei suoi «maggiori», «uno dei sette nomi che fanno della poesia lirica italiana la più potente e gloriosa delle moderne ed europee». Non solo dunque Ungaretti ha subito il fascino estetico della arte, ma ha riconsiderato, assimilandolo, il patrimonio stilistico della sua opera in versi. Se le affinità entro le quali si circoscrivono le coordinate essenziali dell’incontro Ungaretti–Michelangelo si esplicano sul piano della comune drammatica coscienza della propria condizione umana, misurata e sofferta come riverbero di una crisi epocale, è entro queste coordinate che si riscontrano le convergenze come naturale riverbero nei testi ungarettiani. Nella raccolta il Sentimento del tempo è possibile rintracciare reminiscenze michelangiolesche sia all’interno del nucleo semantico della «notte» che nella crisi rappresentata dagli Inni.

Ed è proprio negli Inni che la figura di Michelangelo viene a configurarsi quale crocevia radicale, simbolico punto di svolta nella parabola esistenziale e poetica di Ungaretti. È negli Inni, infine, che si evidenzia il grado più alto della sintonia del poeta con l’artista cinquecentesco. La rilevanza del filtro michelangiolesco trova conferma nelle convergenze semantiche e testuali riscontrabili tra questa sezione e le ultime Rime del canzoniere buonarrotiano che, nella prospettiva indicata, vengono ambedue a configurarsi come luogo di una catarsi incompiuta. Nei versi culminanti de La Pietà, ad esempio, (titolo significativamente ispirato alla michelangiolesca Pietà Rondanini): «Non ne posso più di stare murato / Nel desiderio senza amore», passano filtrati i versi michelangioleschi del sonetto 60: «Se vera è la speranza che mi dai, / se vero è ‘l gran desio che m’è concesso, / rompasi il mur fra l’uno e l’altra messo».

Anche l’ultima strofa de La Pietà presenta evidenti reminiscenze buonarrotiane: «Attaccato sul vuoto / Al suo filo di ragno, / Non teme e non seduce / Se non il proprio grido. // Ripara il logorio alzando tombe».  L’immagine dell’uomo che tesse sul vuoto le proprie vane costruzioni è infatti ravvisabile nel componimento 267 delle Rime: «I’sto rinchiuso come la midolla / da la sua scorza, qua pover e solo /, come spirto legato in un’ampolla: / e la mia scura tomba è piccioli volo, / dov’è e Aragn’ e mill’opre e lavoranti, e fan di lor filando fusaiolo». 

Così nel tragico sentimento della catastrofe, del vuoto di senso che insidia le aspirazioni dell’uomo nella società odierna, Ungaretti sente come prossimo interlocutore il grande maestro cinquecentesco. «Come nel sogno di Michelangelo — scrive in Ragioni di una poesia — dove il Padre, per darle vita, toccò il dito a poca terra, il poeta nuovo vorrebbe udire nelle sue povere parole, tornata nel mondo la voce di quella grazia. Per questo ha anche gridato, per questo ha anche pianto». 

di Stefania Falasca