Una incandescente corrispondenza con Maria

Da bambina, ho parlato molto con te. Mi ricordo di essere venuta a supplicarti in una chiesa mentre ero in vacanza perché guarissi un mio parente con un calcolo ai reni che gli faceva male. E poi, crescendo, ti ho lasciata, spaventata dai devoti che tradivano quel volto giovane, vivace, che amavo di te. Mi ci è voluto molto tempo per seguire di nuovo dal di dentro il passo del piccolo popolo dei credenti e avvicinarmi a te senza timore di tradire né quelli che confidano in te né quelli che non sopportano vergini in plastica e oggetti derivati”. Inizia così la prima delle ventinove lettere indirizzate da suor Anne Lécu, religiosa domenicana francese e medico nelle carceri, alla Vergine. Questa corrispondenza, questo canto dell’anima, di una donna a un’altra, composto in una lingua semplice e al tempo stesso poetica, non è soltanto preciso teologicamente e profondo psicologicamente e spiritualmente. È un’odissea dove si cammina con Maria, dove la si sente ridere e piangere, dall’Annunciazione all’Assunzione, dove si piange e dove si respira con lei. «Scriverti così — sussurra suor Anne Lécu — è bere alla fonte pura di un corso d’acqua selvaggio». [1]
E quest’acqua selvaggia è movimento, lontano dalle rappresentazioni ieratiche e melliflue della Vergine. «C’è un filo teso tra l’espressione “viaggiatrice di Dio” che, nel Decalogo, non smette di accompagnare il popolo nel suo cammino di liberazione e nella sua lunga marcia verso la terra promessa, e il Verbo che si è fatto carne nel tuo ventre — scrive —. Sì, Maria, tu sei diventata l’Arca santa portandolo, e ci inviti a fare delle nostre vite arche sante». Osservando Maria, la religiosa s’interroga: «A volte mi domando se aspetto ancora che qualcuno venga così a deporre tuo figlio nelle mie mani. Mi domando se l’attendo abbastanza, se la mia sete è intatta, o se il tempo l’ha spenta. Ti devi essere commossa molto, Maria, nel vedere così la reazione di Simeone, quel vecchio uomo che attendeva la consolazione d’Israele. È forse questo stato d’animo che occorre avere per ricevere l’unigenito tra le proprie mani: attendere la consolazione del mondo, spiarla come se ne andasse della nostra vita». Si dice a volte che un buon libro è quello che a sua volta fa venire voglia di scrivere. Questa corrispondenza di Anne Lécu va oltre: apre un’amicizia con Maria, «a tutte e a tutti coloro che vorranno intrufolarvisi». È quindi difficile richiudere queste lettere senza avere, a propria volta, la sete di rivolgersi alla madre: «che guarda la morte in faccia», alla «sorella maggiore che c’insegna la vita dei discepoli», alla figlia d’Israele che assomiglia a ogni donna di questo popolo, alla donna, fedele e retta, «in piedi nella notte per pregare in nome di tutti coloro che dormono».
di Marie Cionzynska
[1] À Marie, Lettres, Anne Lécu, Cerf, settembre 2020