· Città del Vaticano ·

La messe è molta: viaggio nel mondo delle vocazioni/5

Una chiamata per il mondo

Il missionario argentino Pedro Pablo Opeka
25 settembre 2020

L’identità e il carisma dei missionari vincenziani esempio per i giovani nel mese dedicato al fondatore


La Congregazione della Missione venne fondata nel 1625 a Parigi dal sacerdote Vincent de Paul; per questo i religiosi vengono detti anche “vincenziani”. La missione iniziale era quella di predicare tra la gente di campagna, evangelizzare i poveri e formare il clero; ma nei secoli l’Ordine ha preso un’impronta decisamente più caritativa, sempre diretta verso i più poveri, e missionaria, tanto che oggi è presente in tutti i continenti, in novantadue Paesi. I sacerdoti vincenziani sono oggi in tutto il mondo poco meno di tremila (centoventi in Italia), con cinquanta diaconi, centoventi fratelli e trentasei seminaristi. Dedicano una cura particolare alle varie associazioni laicali caritative che si ispirano sempre al carisma di san Vincenzo.

«La nostra vocazione è di andare. Non in una parrocchia e neppure in una diocesi, ma per tutta la Terra». Questa frase del fondatore san Vincenzo de’ Paoli, i religiosi della Congregazione della missione (detti per l’appunto “vincenziani”) non solo l’hanno scolpita nei cuori e messa in pratica nella vita, ma l’hanno declinata ora secondo le forme ancora più attuali della missione e della pastorale vocazionale: sul web. Ecco allora che ha preso il via in questo mese di settembre la prima edizione del Festival vocazionale missionario, voluto dalla congregazione per celebrare anche il carisma di Vincent de Paul, il prete francese che permeò il suo operato di una carità attiva e in più forme, anche al femminile: chi non conosce, ad esempio, le Dame della carità presenti in tante nostre parrocchie?

«Settembre — viene spiegato in una nota della congregazione — è il mese dedicato al fondatore san Vincenzo, la cui memoria liturgica si celebra il 27 del mese, e precede il mese missionario per eccellenza. Per questa ragione i vincenziani hanno pensato di iniziare con un incontro virtuale che celebrasse il cammino percorso fino ad oggi e aprisse le porte al futuro della congregazione».

Ma quale obiettivo si prefigge questo evento del festival vocazionale che, come vedremo meglio tra poco, sta già raccogliendo copiosi frutti grazie per l’appunto al web? Ce lo spiega padre Tomaž Mavrič, da quattro anni superiore generale della Congregazione della missione: «Quello di offrire uno spazio virtuale per la formazione, l’integrazione e la preghiera, e di farlo nella prospettiva dei temi che sono fondamentali per la nostra identità: la vocazione e la missione. Il festival è anche un luogo e un modo per promuovere il nostro carisma missionario>, aggiunge il religioso in un simpatico dialogo fatto di termini associabili a più lingue. Cinquantasette anni, nato a Buenos Aires da genitori sloveni che scapparono dal regime comunista dell’allora Jugoslavia nel maggio del 1945, prima in un campo profughi in Austria e poi in Sud America; entrato nella congregazione nel 1976 e sacerdote dal 1993, ha esercitato il suo ministero anche in Canada, Irlanda, Slovacchia e da ultimo nella Provincia religiosa dei Santi Cirillo e Metodio, attiva in Russia, Belarus e Ucraina, prima dell’elezione a superiore nell’assemblea generale del 2016 tenutasi a Chicago.

Questa nuova forma di animazione vocazionale, però, è dettata anche dal fatto che, così come altre famiglie religiose, anche quella dei vincenziani soffre una crisi di vocazioni numerica non indifferente. E padre Mavrič non si nasconde certo dietro un dito nell’affrontare l’argomento: «Stiamo vivendo un momento difficile, in tutta Europa in particolare, e quindi anche in Italia, mentre le cose vanno decisamente meglio in Africa, in Asia e in Sud America, dove invece c’è un aumento delle vocazioni. Per questo dobbiamo essere aperti, cercare nuove forme di servizio, capire come entrare in contatto con la gente, con i giovani. E qui, ripeto, l’iniziativa del festival vocazionale ha per l’appunto questi obiettivi concreti di rafforzare la nostra identità e il carisma dell’essere missionari. A proposito di crisi delle vocazioni, io penso, e ho maturato questa mia idea parlando anche con i responsabili di altre congregazioni, che sono le risposte che mancano, non le chiamate: Gesù sta chiamando anche oggi, come in passato, nella sua Chiesa. Questo significa che anche in Europa, anche in Italia, Gesù chiama i giovani. E allora il punto è: la risposta come si rapporta alla nostra identità? Siamo forse noi in crisi? Il problema, insomma, potrebbe essere anche nostro. Per questo siamo chiamati a vivere il nostro carisma con chiarezza e in profondità, per dare un esempio ai giovani: l’esempio della nostra vita. La priorità di tutte le province vincenziane è dunque adesso anche quella vocazionale. Anzi, io parlerei di “cultura vocazionale” da esprimere in maniera concreta laddove siamo presenti. Anche questa cultura vocazionale deve far parte di quell’ospedale da campo tanto caro a Papa Francesco. E sono stato molto contento quando, nel 2018, ho sentito dire al Sinodo dei vescovi che il servizio e la carità devono far parte del discernimento vocazionale>.

Per preparare i futuri religiosi, la Congregazione si appoggia allo storico seminario Alberoni di Piacenza, dove attualmente ci sono circa trenta seminaristi, ma solo cinque appartenenti ai vincenziani della Provincia italiana che comprende pure l’Albania. E non a caso gli ultimi sacerdoti vincenziani ordinati, nell’agosto scorso, hanno nomi quali Serhii, Lenilton, Augustinus, Franciskus Xaverius.

Verrebbe anche da pensare che una congregazione dall’impronta così missionaria rischi di perdere un po’ del suo fascino proprio perché non siamo più abituati a pensare al missionario come quello che una volta andava ad evangelizzare nelle terre lontane e sconosciute. «Certo — argomenta padre Mavrič — oggi i giovani forse non sono aperti a questo aspetto. E allora diventa importante per noi, oltre a quel lavoro di testimonianza, anche agire con i moderni strumenti di comunicazione. Penso che i giovani oggi sono comunque aperti al servizio, amano entrare in contatto diretto con i poveri, con persone che hanno bisogno, ma noi dobbiamo essere veramente capaci di condividere questo messaggio anche con i mezzi di comunicazione che i giovani usano e prediligono».

Ed ecco dunque che si torna all’iniziativa del festival vocazionale online, aperto proprio da alcuni seminaristi, in collegamento con circa trecento giovani grazie alla piattaforma Zoom. Seminaristi di varie Province di tutto il mondo che hanno esibito anche il loro talento musicale: i primi sono stati i seminaristi polacchi, poi lo studente Jean-Baptiste Ging, della Provincia di Francia, che ha trasformato in canto la frase che ha ispirato il festival e che per l’appunto abbiamo riportato all’inizio dell’articolo («La nostra vocazione consiste nell’andare, non in una parrocchia, non solo in una diocesi, ma in tutta la terra»).

In seguito lo studente Ângelo Cacilda Macamo della vice-Provincia del Mozambico ha fatto una presentazione rap e i seminaristi della vice-Provincia del Costa Rica hanno concluso il festival con la canzone Il cuore di San Vincenzo de’ Paoli. In rete è andata anche un’intervista realizzata dallo stesso padre Tomaž al cardinale Luis Antonio Tagle, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione del popoli, così come la presentazione del libro Dove Dio ci vuole di padre Rolando Gutiérrez, costaricano, ora in spagnolo ma che presto verrà tradotto anche in inglese e in altre lingue; è un’opera sul tema della cultura vocazionale letta alla luce del carisma di san Vincenzo de’ Paoli: «Vi parlo — afferma l’autore — della cultura vocazionale letta dal cuore del carisma vincenziano, che ci permette di rivitalizzare la mistica missionaria con una sensibilità come quella che ha spinto san Vincenzo a seguire Gesù Cristo, evangelizzatore dei poveri, e che finisce per trasformare tutti noi in chiamanti». E poi, sempre online, ecco che sono già presenti alcune testimonianze. Come quella di padre Pedro Opeka, ora missionario in Madagascar: «Il modo migliore per aiutare i poveri è quello di rispettarli, di stare davanti a loro come un eguale, senza maschere, privilegi, senza alcuna autorità che non sia l’amore e il rispetto. E l’amore vi aiuterà a perseverare nonostante le delusioni e i fallimenti e la mancanza di onestà con cui abbiamo a che fare quasi ogni giorno». Oppure, spostandoci a Cuba, quella di fratello Jorge Barrera: «Scoprendo i poveri scopriamo meglio ciascuno di noi, il volto di Gesù: se essi non sono al nostro fianco la nostra vocazione manca di qualcosa, è una strada non trovata, è una strada senza uscita. Al contrario, trovare la nostra vocazione, nella nostra vita di consacrazione, cercare Gesù in mezzo ai poveri, è trovare le impronte di san Vincenzo e per trovarci in esse basta riempirsi dell’amore che si trova in ognuno di questi piccoli, perché sono la vera strada della vera felicità per dare gloria a Gesù Cristo». O ancora, la scelta vocazionale di padre Yohanes Belina Werang, che ha deciso di spendersi nelle lontanissime Isole Salomone: «Riflettendo ora sulla ragione per cui ho deciso di raggiungere la missione in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone, è per vivere il nostro carisma vincenziano che è quello di portare la buona novella alla povera gente e nei luoghi dove i vincenziani sono più necessari. Per vivere il nostro carisma e per aiutarci nella nostra missione, cinque virtù vincenziane, che sono l’umiltà, la mitezza, la semplicità, la mortificazione e lo zelo per le anime, sono necessarie e importanti».

Eccole qui le testimonianze di vita vissuta di cui parlava padre Mavrič, utili ad esprimere tutta quella “cultura vocazionale” capace ancora oggi di attirare dei giovani. E farli rispondere a quella chiamata che Gesù esercita anche e ancora oggi, pure se mediata da una rete internet.

Resta da dire, perché pure questa è per l’appunto “cultura vocazionale”, che durante il festival missionario online, i vincenziani hanno lanciato anche la campagna “dell’1 per cento” «in cui cerchiamo di incoraggiare i confratelli — specifica il superiore generale della congregazione — a considerare il ministero nelle missioni ad gentes, ad impegnarsi nella riflessione sul nostro spirito missionario e a riconoscere che la missione della congregazione non è limitata all’ambito internazionale ma si estende per l’appunto alle missioni ad gentes delle Province, Viceprovince e Regioni. La campagna dell’1 per cento ha lo scopo di preparare trenta confratelli a questo tipo di missioni».

Ecco perché sono quanto mai attuali, e vocazionali, quelle parole di Vincent de Paul di oltre quattro secoli fa sulla bellezza di rispondere ad una chiamata che è per il mondo, non solo per una parrocchia o una diocesi.

di Igor Traboni