· Città del Vaticano ·

Nei quadri della serie «Corona Diary» di Renzo Ferrari

Storie di ordinaria quarantena

Renzo Ferrari, «Pollution» (2020, una delle opere della serie «Corona Diary»)
26 settembre 2020

«Nell’emergenza pandemica coatta, il lockdown, o come dicono a Milano tücc seraa, ho voluto convertire per immaginazioni iconografiche quanto ci assaliva, sempre per immagini, dai media con drammatiche e continue informazioni» scrive Renzo Ferrari parlando dei quadri nati durante i lunghi giorni della quarantena. Una produzione ricca, varia, dai colori acidi e violentemente squillanti, una sessantina di opere dai piccoli ai grandi formati, realizzate ad olio, acrilico e acquarello raccolta nel volume Corona Diary Opere 2020 edito da Skira (Milano, pagine 64, euro 16).

Un diario condiviso attraverso l’unico mezzo di comunicazione che nei giorni più bui della pandemia ci era concesso, quello dei social media. Scegliendo tra le opere nate a marzo e ad aprile, Ferrari ha prodotto un filmato (presentato a Poestate 2020 nell’edizione online e diffuso su Youtube) e ha allestito una mostra in corso a Lugano alla Galleria Colomba, inaugurata il 12 settembre scorso, visitabile fino al 10 ottobre.

«Come l’uomo primitivo nelle grotte di Altamira raffigurava le scene di caccia per mantenere memoria di esperienze e appropriarsi simbolicamente dell’animale e della forza necessaria per combattere — spiega la giornalista Melina Scalise nell’introduzione al volume — così Renzo Ferrari in questo ciclo, al tempo del coronavirus, esalta con la pittura lo stesso potere documentativo e propiziatorio».

Ferrari si è lasciato ispirare anche dalle parole (e dalla condizione di reclusa volontaria) della poetessa americana vissuta due secoli fa, Emily Dickinson, capace con linguaggio fresco e potente di esprimere con la precisione della poesia l’esperienza condivisa del “rallentamento” forzato. «Se in quel di Cadro — annota lo scrittore Sergej Roic, nelle pagine iniziali del volume — salite i dieci scalini che vi portano nello studio di Ferrari, il pittore espressivo per antonomasia vi indicherebbe una vecchia sedia, voi chiudereste gli occhi e, riaprendoli, davanti alle profezie dipinte di Ferrari vi trovereste a percorrere l’universo dei colori e delle forme con ritmo diverso, con una lena tutta particolare, immaginando, sognando e, finalmente, vedendo».

L’immaginario individuale e collettivo riaffiora attraverso plaga doctores, cupi sabba che ricordano Goya, danze macabre e «cavalieri della morte dell’affresco di Palermo». Oltre al racconto della febbre spagnola del secolo scorso raccontata dai nonni e impressa nella sua memoria d’arte per la morte di Egon Schiele. La pittura veicola attraverso il colore una sorta di “distanza catartica” dalla drammaticità degli eventi vissuti in prima persona. «Mentre la pandemia di covid-19 era nella sua fase più acuta — chiosa lo storico dell’arte Luca Pietro Nicoletti — l’immaginario pittorico di Renzo Ferrari si è popolato di un mondo visionario e allegorico. Se il World Diary aveva introiettato le sollecitazioni del mondo esterno, della cronaca vicina e lontana, aveva fatto i conti con i riti sociali e i comportamenti umani, facendone emergere il lato grottesco e bestiale, l’isolamento forzato provocato da un nemico invisibile ha spostato il fuoco dell’attenzione su un mondo fatto di fantasmi, di presenze inquiete.

Il Corona Diary non è una cronaca dei fatti: saggiamente Renzo si è sottratto alle sirene della narrazione retorica di questi giorni, al racconto di eventi e situazioni per come i media li hanno rappresentati Ferrari ha capito subito che bisognava andare più a fondo per capire l’inquietudine di questa stagione e gli spettri inconsci che poteva richiamare». (silvia guidi)