· Città del Vaticano ·

Tavola rotonda

“Sororità è spingersi al di là di ogni confine”

Patrizia Morgante - Cristina Simonelli - Paola Lazzarini - Anna Maria Vissani - Cristiana Gualtieri - Antonietta Potente
26 settembre 2020

Sei donne si confrontano su un concetto che personalmente sperimentano in modi diversi.
E pongono anche la questione del linguaggio, che «non è neutro»
«Laiche e religiose: per prime dovremmo eliminare tra di noi questa distinzione»


Linguaggio, confini, potere, disobbedienza, sono parole ricorrenti nelle riflessioni sulla sororità di un gruppo di donne che la sperimentano in modi diversi. Cristina Simonelli, presidente del Coordinamento teologhe italiane, docente di Storia della Chiesa e Teologia patristica alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, 36 anni di vita in contesti Rom. Antonietta Potente, teologa, suora domenicana dell’ Unione di San Tommaso d’Aquino, 20 anni in Bolivia, docente universitaria lì e poi a Verona, dove è entrata nella comunità filosofica femminile Diotima. Paola Lazzarini, sociologa della religione, presidente dell’associazione Donne per la Chiesa. Patrizia Morgante, responsabile della comunicazione dell’Uisg. Anna Maria Vissani, suora delle Adoratrici del Sangue di Cristo, teologa morale, membro del comitato giuridico per la nullità del matrimonio della diocesi di Jesi, ex presidente dell’Uism nelle Marche. Cristiana Gualtieri, insegnante di religione a Porto Sant’Elpidio.

È Cristina Simonelli a porre subito la questione del linguaggio, «che ci resiste, non è neutro. Nonostante mi dia fastidio la declinazione maschile, in certi casi io stessa, magari in corsivo, devo scrivere fraterno invece di sororale. In generale, per parlare di noi, non mi piace stringermi a una categoria: uso indifferentemente femminismo, prospettiva di genere, differenza». Per suor Antonietta Potente, «soprattutto nella Chiesa, le cose che si dicono sulle donne sono alquanto confuse. È che forse neanche noi abbiamo un linguaggio così chiaro, viviamo nella titubanza. Io credo invece che essere tra donne ci dia un’autorità molto grande. Dovremmo eliminare per prime la distinzione tra religiose e laiche: siamo tutte donne e nessuna fa parte del clero. Dunque, siamo tutte laiche. È questa la vera distinzione all’interno della Chiesa: essere clero o non esserlo. Ed è una grazia, questa laicità, perché ci autorizza a sentirci liberate, fuori da uno schema: è la mia spiritualità che mi può far dire che sono cresciuta secondo la tradizione domenicana, non il mio essere suora. Certo, c’è l’ingiustizia, perché ci è stato imposto».

Sororità, aggiunge suor Anna Maria Vissani «non vuol dire chiuderci tra noi, ma far sbocciare un linguaggio un po’ più femminile, che è ciò di cui parla Papa Francesco. Io l’ho vissuta molto nella relazione con uomini: da giovane suora, unica donna nella facoltà teologica, qualche seminarista o sacerdote ha pianto sulla mia spalla. È stato molto difficile. Mi sono sempre detta: Devo mantenere la mia distanza, perché sono una donna consacrata. Ma ho accettato di affrontare il rischio e ho visto che, pur tremando, noi possiamo dare moltissimo agli uomini. Oggi ascolto e accompagno molte coppie in crisi o separate». Paola Lazzarini si definisce «una sorella (di un fratello) senza sorelle. Ne ho sempre sentito il bisogno, le ho cercate altrove. Dopo la laurea, sono entrata nella comunità delle Ausiliatrici delle Anime del Purgatorio e ho scoperto cos’è la sororità: non scegliersi, ma trovarsi, doversi scegliere, imparare a stare assieme, a non chiudersi la porta in faccia e rintanarsi nella propria stanza. È stato bellissimo. Sono rimasta 5 anni, ho preso i voti semplici ma non quelli perpetui. Poi mi sono sposata e ho avuto una figlia, che è rimasta unica; è stato molto duro accettarlo. Di nuovo, questo tema veniva a bussarmi alla porta sotto forma di mancanza: io non ero in grado di rendere sorella mia figlia».

Da questo racconto «mi arrivano echi — confida Patrizia Morgante — nonostante non abbia avuto l’esperienza della maternità. E non riesco ad ascoltare storie di dolore, di violenza su donne; come se sentissi dentro di me le vibrazioni di questo dolore. Mi chiedo se custodiamo in noi la voce di un inconscio collettivo femminile. Io credo che la sororità sia molto legata al rapporto con l’anima, con la parte più intima di noi, che ci spinge a narrarci. Abbiamo un nostro modo di narrare che ci porta autorevolezza... La Uisg è un luogo sororale, perché il nostro obiettivo è quello di dare la possibilità alle suore, nella loro diversità, di emergere. Ci stiamo aprendo ad altre forme di vita consacrata, una spinta ad andare oltre le frontiere e i limiti».

Ed è proprio questo il punto, per Cristina Simonelli: «Il termine sororità, io lo penso come la possibilità di oltrepassare i confini. Dire sororità nella Chiesa cattolica, significa pensare a donne laiche e religiose senza distinzioni, per le quali l’essere donna viene prima. Vuol dire un impegno ecumenico totale, non per una sola chiesa e al di là delle chiese. Sperimentare dei legami, delle alleanze oltre ogni confinamento. Pur praticando il confine; anzi, a volte il confino, perché non è che io mi senta al di fuori delle collocazioni. Come dice Soave Buscemi, missionaria laica, stando e disertando».

Cristiana Gualtieri, ha vissuto la sororità come esperienza di ascolto, di studio, di rilettura corale dei testi. «Ho approfondito nella Bibbia la competizione fra sorelle come Lia e Rachele, l’alleanza fra straniere come Noemi e Rut, la piena accoglienza reciproca fra non consanguinee come Elisabetta e Maria. Sento il bisogno di uno spazio: nella mia parrocchia non lo trovo più, da quando ho smesso di occuparmi dei servizi classici come il canto o il catechismo».

Suor Antonietta Potente cita Simone de Beauvoir: «Donne non si nasce, si diventa. Io la consapevolezza della nostra differenza l’ho trovata entrando in congregazione: il cammino di identificazione con la mia identità profonda ha coinciso con un cammino di trasformazione spirituale. Ho avuto la fortuna, in Bolivia, di stare all’interno di una cultura indigena, dove la donna ha un suo ruolo particolare». Dice che in America Latina, però, la teologia femminista ha dovuto affrontare forti critiche da parte delle gerarchie negli ultimi decenni. «All’università non era facile; ma è proprio questo non facile che ci provoca il desiderio di trovare altre compagne di viaggio. Credo che dovrebbe essere così anche in politica».

«A me fa molto male — si associa suor Anna Maria Vissani — vedere donne riuscire a farsi strada nella politica e imitare gli uomini. Ci potremmo cadere anche noi, all’interno della Chiesa».

E in effetti, il potere può complicare le relazioni fra donne.

«Io non credo — dice Cristina Simonelli — che la sororità sia una questione romantica: di sentimento sì, di affetti sì, ma prevede anche il conflitto, le differenze. E la categoria dell’autorità, la questione della sua gestione. Perché un’autorevolezza che non abbia possibilità di agire, che non abbia dunque anche un potere, non so se sia un’autorità. Anche in un’associazione come il Coordinamento delle teologhe, io non posso dire di non avere un’autorità. Cerco di gestirla in modo da essere il perno per autorizzare altre. Ecco, intendo pensare l’autorità come autorizzazione di altre».

Il tema degli abusi di coscienza nelle comunità religiose non è un tabù. «Ne vediamo — dice Patrizia Morgante — perché la suore sono persone». E introduce un nuovo tema: «La sororità mi fa pensare alle donne disobbedienti. Credo ci sia una connessione con il Cosmo che ci nutre, perché ci siamo sentite vittime come la Terra…la nuova cosmologia forse nascerà da questo nuovo modo di essere sororali».

Nella vita religiosa, continua Antonietta Potente «se le donne hanno disobbedito, hanno avuto la possibilità di coltivare una creatività immensa. Ma se sono rimaste solo nell’ambito istituzionale, questo è stato guidato, anche nello spirito, da uomini. Penso alla differenza fra santa Caterina e santa Chiara...Le comunità religiose hanno avuto delle impronte maschili, proprio in quell’aspetto di cui gli uomini non sanno niente; perché se ci sono dei disastri comunitari, sono proprio a livello di relazioni maschili permeate dall’individualismo. Poi, siamo esseri umani, e tra donne a volte la relazione è faticosa. Tra noi l’autorità dovrebbe essere più simile al carisma, andrebbe scoperta seguendo un cammino identitario. Tra gli uomini, nella politica, nella Chiesa, l’autorità è un ruolo, una posizione: noi invece, più ci trasformiamo, più percepiamo che ciascuna ha una sua autorità. La sororità è un legame cucito con il filo dell’affetto: non dipende dai ruoli, da chi è oggi la madre superiora o chi sarà la prossima».

Secondo Paola Lazzarini, «la parola autorità viene dal latino autor, ma anche da augere, far crescere. A me piace molto l’esempio che stiamo ricevendo da The Squad, le deputate dem statunitensi provenenti da minoranze etniche; la loro capacità di fare squadra arrivando dai margini. Abbiamo la fortuna di non essere formate ad esercitare il potere come gli uomini e questo ci dà la possibilità di farlo in maniera libera, creativa, che fa crescere l’altro, autorizza, genera: se non è generativo, il potere di per sé può essere mortifero. Nel mio piccolo, da ultima, senza studi teologici, ho radunato una trentina di amiche da tutta Italia per scrivere Il manifesto delle donne per la Chiesa. Da qui è nata l’associazione che oggi presiedo. L’idea è vivere l’alleanza tra donne valorizzandosi a vicenda, cercando un posto e non accontentandosi, funzionare da grimaldello. Da subito ho cercato alleanze anche all’estero e abbiamo dato vita a una rete, Catholic Womens Council. È un grande stimolo e a volte anche una fonte di frustrazione: da attivista, vedo manifestazioni come lo sciopero generale delle Donne di Maria 2.0 l’anno scorso in Germania e mi rendo conto della fatica che facciamo in Italia. Ma è importante questo non sentirsi sole, che è poi l’essenza vera dell’essere sorelle».

Racconta Anna Maria Vissani: «Alla nostra fondatrice, santa Maria De Mattias, la Chiesa voleva imporre di fare semplicemente scuola, senza predicare in chiesa, né riunire la gente. Ma lei l’ha fatto. Un carisma, un’ispirazione, nasce sempre da un’identità forte e la donna di per sé deve partorire, abbiamo tutte un grembo nel nostro Dna». Anche la questione degli abusi di coscienza, a suo avviso, ha a che fare però con i tratti comuni femminili: «Forse succede proprio perché tra i nostri istinti interiori c’è quello alla rivalità. Ma il rapporto con il potere non è uguale per tutte. Negli incontri internazionali dei nostri Istituti religiosi non è facile capirci, perché veniamo da culture diverse. In America, ad esempio, capita che la Regola di Vita sia l’unica autorità riconosciuta. In altri continenti, invece, si va dall’attribuire molto peso ai ruoli, all’accettare facilmente la sottomissione reciproca. Seguo Papa Francesco quando dice che alla fine lo Spirito Santo butta per aria tutto… nei nostri Istituti, però, ancora non c’è riuscito».

di Federica Re David