· Città del Vaticano ·

Il 27 settembre di cinquant’anni fa Paolo VI proclamava Teresa d’Avila dottore della Chiesa

Quell’audacia di chi ama senza riserve

Peter Paul Rubens «Teresa d’Avila» (1615, particolare)
26 settembre 2020

Il 2020 è un anno che ci sta regalando anniversari molto importanti: i cinquecento anni dalla morte di Raffaello; cento anni della nascita di Federico Fellini; i duecentocinquant’anni della nascita di Ludwig Van Beethoven; cinquant’anni fa si sciolsero i Beatles e morì Jimi Hendrix, per citarne alcuni. E giusto cinquant’anni orsono, il 27 settembre 1970, Paolo VI proclamava santa Teresa d’Avila Dottore della Chiesa.

Gli anni Settanta segnano un cammino singolare per la donna in Italia e in Europa. Nel Parlamento europeo solo nel 1979 si raggiunge una presenza femminile del 16 per cento, nonostante le pari opportunità di genere fossero state dichiarate quale valore fondamentale dall’Unione europea nell’articolo 119 del Trattato di Roma del 1957. Le donne italiane cominciano a muoversi più autonomamente, affermandosi nel campo socio-politico e nel 1976 Tina Anselmi è la prima donna a diventare ministro nel terzo governo Andreotti. Una dura strada in salita che nel sud Italia trova le donne ancora in uno stato di subordinazione e disagio socio-culturale ed economico.

Paolo VI, grande intellettuale, di notevole spessore umano e culturale — oltre che spirituale — in questa particolare contingenza storica ha sicuramente voluto indicare alle donne di ogni continente un ideale femminile e cristiano da seguire e contemplare nella vita quotidiana. Teresa d’Avila è la prima donna Dottore in assoluto, a cui fa seguito — appena una settimana dopo — il Dottorato di santa Caterina da Siena. Non una, dunque, ma due donne per rimarcare l’importanza della presenza e dell’apporto “femminile” nella Chiesa e nella società.

Nell’omelia del 27 settembre, non senza emozione il Pontefice dichiarava: «La vediamo apparire, come donna eccezionale, come religiosa, che, tutta velata di umiltà, di penitenza e di semplicità, irradia intorno a sé la fiamma della sua vitalità umana e della sua vivacità spirituale, e poi come riformatrice e fondatrice d’uno storico e insigne Ordine religioso, e scrittrice genialissima e feconda, maestra di vita spirituale, contemplativa incomparabile e indefessamente attiva». In queste poche righe si riassume tutta la persona di Teresa d’Avila, che fu — effettivamente — una donna straordinaria nella sua semplicità e nel suo fascino “mistico” che ha attratto, e ancora attrae, l’interesse di tante persone. Profondamente donna possedeva un cuore «virile e virtuoso», cioè pieno dell’audacia propria di chi ama senza riserva: «Persuadiamoci, figliuole mie, che la vera perfezione consiste nell’amore di Dio e del prossimo. Quanto più esattamente osserveremo questi due precetti; tanto più saremo perfette».

La sua singolarità, anche come religiosa, non ha la radice in se stessa, ma in Dio, en las mercedes que el Senor me ha hecho, nei regali divini che la trasformano nel suo essere e le danno l’intima certezza di aver finalmente trovato il tutto della sua vita. Non è un caso che Teresa diventa scrittrice feconda solo dopo l’esperienza dell’incontro con Dio, quando, cioè, fa ingresso nella vida nueva. È qui che conosce ed entra in relazione con Dio misericordia, vivendo un rapporto estremamente personale con Colui che diventerà il suo Amico fedele. Scrive Teresa: «Per me l’orazione mentale non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama», una espressione che richiama alla mente quanto afferma la Dei Verbum: «Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé». E per Teresa solo attraverso questa «particolare amicizia» si può giungere ad una intima relazione con Dio. Dalla fedeltà alla preghiera e dalla assoluta fede in Dio scaturisce la sua vitalità di donna e persona.

Il suo apostolato fecondo è frutto di questo stare a “tu per tu” con il Cristo, che ella sposa “misticamente”, ma pure del coraggio e della caparbietà con cui affronta le vicende della vita: in un momento storico-religioso segnato dalla riforma protestante e dalla presenza in Spagna della setta de los alumbrados, gli illumitati, viene sottoposta a dure procedure inquisitoriali. Ma non si perde d’animo e in sella a un asino percorre l’intera penisola Iberica per fondare i suoi monasteri riformati. Sua è pure la riforma del Carmelo maschile, nonostante il memoriale dei padri carmelitani menzioni quale fondatore del primo convento di carmelitani Scalzi fra Antonio di Gesù.

Per le sue incredibili doti Teresa d’Avila rappresenta, ancora oggi, l’esempio vivo di tutto quanto può compiere una donna risoluta e determinata in un’epoca di chiusura dove non vi fosse «virtù di donna guardata con sospetto». Insigne “maestra spirituale” indica alle donne di oggi un cammino di fede fortemente radicato in Cristo e nell’ascesi quotidiana — che in lei diviene mistica —, in un percorso tragicamente costruito su misura per la donna di tutti i tempi e con una trama ordita da altri, alla quale, però, Teresa non si conforma in nessun modo — invitandoci a fare lo stesso —, perché quel mondo in cui viveva e la Chiesa di cui si sentiva profondamente figlia accettasse la “parola di donna”.

E la sua parola era intensamente radicata nelle Sacre Scritture: il Vangelo, infatti, era per Teresa un fiume di acqua viva dove saziare il cuore. E da ineffabile mistica nel Castello Interiore Teresa ricolloca tutto secondo la sua esperienza interiore: Dio al centro, e l’anima umana nel cuore di Dio, un incontro che avviene nell’ultima dimora, quella “settima stanza” che Edith Stein — santa Benedetta Teresa della Croce — raggiunge nell’ultimo ed estremo sacrificio d’amore. Nel centro del castello, in quella stanza «l’anima resta sempre con il suo Dio in quel centro» dal quale non si allontanerà più.

Ricordiamo ancora le parole pronunciate da Paolo VI nel 1970: «Questo il messaggio per noi di Santa Teresa di Gesù, Dottore della Santa Chiesa: ascoltiamolo e facciamolo nostro». Poi sottolineando come la santa fosse una pioniera in questo particolare riconoscimento, che cancella «la severa parola di San Paolo» aggiunge: «Il che vuol dire, ancora oggi, come la donna non sia destinata ad avere nella Chiesa funzioni gerarchiche di magistero e di ministero. Sarebbe ora violato il precetto apostolico? Possiamo rispondere con chiarezza: no. In realtà, non si tratta di un titolo che comporti funzioni gerarchiche di magistero, ma in pari tempo dobbiamo rilevare che ciò non significa in nessun modo una minore stima della sublime missione che la donna ha in mezzo al Popolo di Dio».

di Caterina Ciriello