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La fisica quantistica spiegata da Carlo Rovelli

Osservo dunque sono

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25 settembre 2020

Che un libro dedicato alla teoria dei quanti e alle implicazioni filosofiche derivanti dalla sua formulazione si trovi in testa alle classifiche delle vendite in Italia deve essere motivo di soddisfazione, se non altro perché contraddice una visione ingiustamente lamentosa del paese e del suo livello culturale. Helgoland di Carlo Rovelli, edito da Adelphi (Milano, 2020, pagine 219, euro 15), è andato a ruba non appena arrivato sui banchi delle librerie sulla spinta del successo ottenuto dai precedenti Sette brevi lezioni di fisica e L’ordine del tempo, divenuti nel frattempo best seller internazionali, con milioni di copie vendute in tutto il mondo e traduzioni in decine di lingue.

Le ragioni della popolarità raggiunta dalle opere di Rovelli, che si occupa della divulgazione dei complessi concetti sviluppati a partire dall’inizio del Novecento dalla fisica contemporanea, sempre più lontana dalla sua base intuitiva, sono molteplici. Innanzi tutto vanno segnalate la linearità della scrittura, l’abilità di collocare gli eventi nella storia, di tratteggiare la personalità dei protagonisti delle scoperte insieme alla grande capacità di cogliere gli aspetti fondamentali delle questioni di cui tratta.

Per spiegare al lettore il senso della teoria dei quanti, Rovelli prende le mosse da una vacanza trascorsa nella sperduta isola di Helgoland, da qui il titolo del libro, dal giovanissimo Werner Heisenberg, il primo a individuare una formulazione matematica che desse conto dei sorprendenti risultati sperimentali relativi alla particelle, fotoni ed elettroni, ottenuti in laboratorio nei primi decenni del secolo scorso. La via percorsa dallo studioso tedesco per raggiungere questo risultato fu quella di rinunciare a ogni considerazione metafisica, a ogni rappresentazione mentale delle particelle infinitesimali che costituiscono la base dell’ambiente nel quale viviamo, per concentrarsi su di una descrizione matematica astratta di quello che le osservazioni fornivano.

Qualche anno dopo un altro scienziato, Erwin Schrödinger, raggiunse risultati analoghi utilizzando strumenti matematici completamenti diversi, confermando così la solidità della teoria che prese il nome di quantistica. Rovelli avverte che “quanti” va inteso come “grani”, quantità discrete nelle quali l’energia si presenta. I primi quanti a essere osservati furono i fotoni, manifestazioni indivisibili di quello che noi percepiamo come luce. La realtà ha un sottofondo granulare dunque, e anche probabilistico. Seguire Rovelli nella sua corsa attraverso la fisica quantistica presenta a tratti i caratteri di un giro sulle montagne russe, con le percezioni sensoriali che si capovolgono, o che scompaiono del tutto. Nell’ambito delle particelle infinitesimali si scopre che nulla esiste se non è osservato e che l’osservazione modifica, o addirittura crea, il fenomeno in corso. Il concetto è condensato nel principio di indeterminazione di Heisenberg, in base al quale è impossibile conoscere contemporaneamente posizione e velocità di una particella.

Questo non dipende dai limiti della strumentazione in nostro possesso: per quanto ne sappiamo è il mondo a essere fatto così, se nessuno lo guarda non ha un’esistenza definita. Nella formulazione di Rovelli, siamo in grado di riconoscere relazioni, non enti. «La solidità della visione classica del mondo non è che nostra miopia» conclude l’autore. Per aggiungere che «alla scala delle molecole, il netto spigolo di un coltello d’acciaio è fluttuante e impreciso come il bordo di un oceano in tempesta che si sfrangia su una spiaggia di sabbia bianca».

Arrivato sin qui, Rovelli non si ritrae dal fare il passo ulteriore, dal porsi le grandi domande di senso che segnano la storia del pensiero umano, dal raggiungere l’ambito nel quale scienze umane e fisiche si confondono. Pone la questione «se il mondo è fatto di semplice materia, particelle in moto nello spazio, come è possibile che esistano i miei pensieri, le mie percezioni, la mia soggettività, il valore, la bellezza, il significato?», per avvertire con grande onestà intellettuale che «la meccanica quantistica non dà risposte dirette a queste domande». L’autore accetta comunque la sfida. Offre una soluzione autobiografica.

Le sue radici culturali si collocano negli anni immediatamente successivi al Sessantotto, risentono del profumo delle culture hippy. Se le citazioni letterarie comprendono Shakespeare, «siamo fatti della stessa sostanza dei sogni», non disdegnano Douglas Adams, l’ultimo dei grandi scrittori di fantascienza, che nella seconda metà del Novecento seppe impiegare nei suoi romanzi i materiali forniti dai paradossi spazio temporali proposti dalla teoria dei quanti.

Nella ricerca dei fondamenti Rovelli non manifesta nessuno snobbismo scientifico. Riconosce l’importanza della ricerca sviluppata dall’umanità fin dal profondo dei millenni rispetto alle cose ultime, come le definisce la teologia cristiana, anche se va a cercarne i risultati in una cultura lontana. Dichiara infatti di aver trovato le formulazioni più convincenti sul senso della vita in un testo buddista, Il cammino di mezzo (Madhyamakakarika) del monaco Nagarjuna, vissuto in India tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo. È sicuramente corretto riconoscere il giusto valore alla riflessione religiosa sviluppata da civiltà lontane dalla nostra. Abbiamo capito che gli incontri vissuti con umiltà, rispetto, curiosità e onestà intellettuale sono sempre produttivi. Mi pare comunque giusto segnalare qui la recente pubblicazione del primo volume de La Mistica Cristiana, un gigantesco progetto editoriale curato per Mondadori da Francesco Zambon, che fornisce abbondanza di materiali relativi all’indagine compiuta all’interno della tradizione religiosa cui apparteniamo proprio sul tema del senso del mondo, oltre il materialismo e la metafisica.

di Sergio Valzania