· Città del Vaticano ·

Oscar di Montigny e il «carburante» della gratitudine

Non dimenticatevi di splendere

Oscar di Montigny in una foto tratta dal suo blog
30 settembre 2020

«Dopo l’eroe, gli uomini» era il titolo di una antologia epica per la scuola media che andava per la maggiore negli anni Novanta del Novecento. Non solo un titolo, ma anche un subliminale suggerimento di metodo, ispirato dal celebre adagio di Bertold Brecht «Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi». Generazioni di studenti sono state cresciute con questo sottotesto tra le righe dei loro compiti a casa e dei temi da svolgere in classe: l’eroico è solo vuota retorica, una categoria desueta, lontana dalla vita reale. Persino un po’ ridicola, visto che tra il sublime e il ridicolo non c’è che un passo, un confine sottile. Meglio rischiare il meno possibile, stare con i piedi per terra, abbassare l’asticella dei desideri, accontentarsi di un rassicurante quieto vivere, ben rintanati in una comfort-zone popolata da soliti noti, circondandosi di piccole cose (di pessimo o di ottimo gusto poco importa). Ben presto però, ci si rende conto che i traguardi parziali e le “cose” non hanno mai, davvero salvato nessuno. «Le cose più belle della vita non sono cose» è un meme postato in mille varianti sul web, condiviso migliaia e migliaia di volte perché sentito come profondamente vero.

Se guardiamo con lealtà alla nostra vita ci accorgiamo poi che degli eroi, a dispetto del mantra di Brecht, abbiamo un disperato bisogno, tutti i giorni. Abbiamo bisogno che l’eroico diventi quotidiano, e il quotidiano eroico. Ne è convinto Oscar di Montigny, esperto di marketing, comunicazione e innovazione, che su questo tema ha scritto un libro due anni fa Il tempo dei nuovi eroi. Riflessioni per il terzo millennio (un volume a cui abbiamo già dedicato un articolo sul nostro giornale, dal titolo Siamo uomini o rettiliani?) desiderando condividere con più persone possibile quello che ha verificato essere vero, produttivo, utile. «Un giorno del 1999, in un improvviso istante di presenza — scrive l’autore — mi sono accorto che dietro di me restava ben poco di ciò che credevo di essere stato fino ad allora. Ho quindi iniziato a cercare, a osservare, a studiare, a pormi domande (...). Sono queste microscopiche pillole di consapevolezza che vorrei ora condividere con te».

La passione del condividere, in Oscar di Montigny ha generato una lunga serie di iniziative, conferenze, testimonianze, spunti di riflessione postati sul suo blog. E una serie di interviste per Radio Italia, disponibili anche in video postati su YouTube, intitolata Gocce di gratitudine. «Abbiamo bisogno di nuovi eroi — è uno dei punti più importanti del personale decalogo dell’autore — di persone che facciano uno straordinario e generoso atto di coraggio per proteggere il proprio interesse e quello degli altri. Gli umani sono ancora la miglior tecnologia che esista su questo pianeta. Le macchine sono un programma, l’uomo è un progetto. Le macchine danno risposte, gli uomini si fanno domande. Fatevi domande su tutto».

Nel guardare se stessi in azione ci si rende conto che la gratitudine è la più alta forma di consapevolezza. E un carburante potente, con effetti concreti, visibili e misurabili nel tessuto di una società. «Abbiamo bisogno di innovatori consapevoli, di generatori di gratitudine. Provare gratitudine e suscitarla negli altri sarà la via per costruire nuovi, rivoluzionari modelli sociali culturali e di business. La gratitudine è l’essenza della coopetition, integrazione tra competizione e cooperazione» scrive nel suo ultimo libro Gratitudine. La rivoluzione necessaria, (Milano, Mondadori, 2020, pagine 208, euro 29,90) dove la sillaba “tu” e la parola “necessaria” sono scritti in verde. Una rivoluzione necessaria adesso, perché dopo la tempesta (o anche nel bel mezzo della tempesta, se il terremoto a cui ci si riferisce è la pandemia da coronavirus) ci si scopre più forti, capaci di un coraggio di cui non sospettavamo neanche l’esistenza.

Tra i nuovi eroi che l’emergenza ha svelato ci sono anche tanti sacerdoti, testimoni privilegiati di una misteriosa Bellezza in azione, capaci di inventarsi persino nuovi di pregare pur di aiutare i nuovi paria, gli “intoccabili”, i pazienti intubati. Testimone privilegiato è il titolo dell’ultimo libro (Milano, Itaca, 2020, pagine 128, euro 12) di don Nacho (Ignacio) Carbajosa, cappellano in un reparto covid di un ospedale madrileno, ex allievo di don Julián Carrón, intervistato da Oscar di Montigny in una delle sue interviste radio/video dedicate alla gratitudine. «Se non ce la fai non parlare — ha imparato a dire don Nacho ai malati terminali da sotto la mascherina — ascoltami soltanto e apri la mano. La Madonna accanto a te è una madre reale. Non avere paura, tieni stretta la sua mano, sarà il tuo modo di pregare senza bisogno di usare la voce. Apri una mano e afferra la mano di Maria, apri l’altra e afferra la mano di Gesù. Non puoi vederli con gli occhi del corpo ma ci sono. Non sei solo». Don Nacho, raccontando quello che ha visto dalla sua visiera trasparente, sormontata dalla scritta in stampatello «sacerdote», ci ha regalato un’immagine struggente difficile da dimenticare: file di pazienti incapsulati nei loro caschi respiratori con i pugni stretti intorno a mani invisibili, come bambini che attraversano la strada, scortati dai genitori, il primo giorno di scuola, quando una nuova dimensione della vita si apre davanti a loro. «Con il tempo alle spalle e la vita di fronte» come cantava (e continua a dirci con le parole delle sue canzoni) Claudio Chieffo nel suo splendido testamento in musica, Favola. Perché un popolo ha bisogno di canti, proprio come ha bisogno di eroi. Altrimenti rischia di «dimenticarsi di splendere», come ripete di Montigny nel suo blog e nei suoi libri.

di Silvia Guidi