· Città del Vaticano ·

Il 25 settembre 1953 l’arresto del cardinale polacco Stefan Wyszyński

La fiera testimonianza del primate del Millennio

Una delle pagine che tra il 30 settembre e il 10 ottobre 1953 «L’Osservatore Romano» pubblicò dopo l’arresto del cardinale Wyszyński
25 settembre 2020

Il 25 settembre 1953, 67 anni fa, il cardinale Stefan Wyszyński venne arrestato dalle autorità della Polonia socialista e internato in una località segreta, sotto il controllo dei servizi di sicurezza. Chiamato a guidare la Chiesa polacca nel 1948, quando era il più giovane vescovo del suo Paese, Wyszyński aveva alternato un atteggiamento di fermezza nei confronti del governo comunista a una linea di dialogo, firmando nel 1950 un modus vivendi, il primo tra un episcopato e un regime dell’Est, che a Roma non era piaciuto ed era parso un pericoloso cedimento. Nei tre anni successivi le autorità di Varsavia erano più volte venute meno all’accordo, arrestando alcuni vescovi e costringendo la Chiesa in un angolo. Quando un decreto governativo sottopose tutte le nomine ecclesiastiche al vaglio dell’Ufficio statale per gli Affari religiosi, i vescovi reagirono al leader comunista Bierut con un duro memoriale, passato alla storia con il nome Non possumus: «Ci è impossibile sacrificare sull’altare di Cesare le cose divine». Fu allora che i comunisti polacchi presero la decisione di arrestare Wyszyński.

Vibrante fu la reazione della Santa Sede. Il Sant’Uffizio scomunicò quanti avevano «osato alzare sacrilegamente le mani» sul primate polacco e sulle colonne di questo giornale, dal 30 settembre al 10 ottobre, vennero pubblicati numerosi articoli e messaggi di protesta per l’arresto di Wyszyński, nonché alcuni suoi discorsi e omelie. Per settimane, numerose città europee ospitarono manifestazioni di solidarietà alla Chiesa di Polonia privata del suo primate, mentre al coro contro i comunisti di Varsavia si unì anche la voce del presidente americano Eisenhower.

Nel suo luogo di detenzione Wyszyński era completamente ignaro di tutto questo, isolato com’era dal mondo esterno, ma ebbe modo di riflettere sulla sua vocazione di cristiano, sacerdote e vescovo in un tempo tormentato, tra l’apocalisse della seconda guerra mondiale e la presa del potere da parte di un governo satellite dell’Unione Sovietica. I suoi Appunti della prigione, pubblicati postumi in polacco, in Francia, e subito tradotti in varie lingue, sono un capolavoro di spiritualità, oltre che una vivida testimonianza della sofferenza dei cristiani dell’Est. In una pagina di estrema lucidità, Wyszyński ritornò sulla sua decisione di dialogare coi comunisti, rivendicando la necessità di un «modus vivendi tra l’episcopato e il governo», perché la Polonia «aveva versato troppo sangue al tempo dell’occupazione nazista per potersi permettere di versarne ancora».

Inoltre il primate polacco, mentre era privato della libertà, concepì un progetto a lungo termine di ricostruzione della Chiesa e della società nella prospettiva del Millennio del battesimo della Polonia (966), un vero piano di resistenza e liberazione spirituale, convinto che le sorti del comunismo si sarebbero decise «non in Russia ma in Polonia, attraverso il suo cattolicesimo», perché, una volta convertita, la Polonia sarebbe divenuta «una grande forza morale e il comunismo [sarebbe crollato] da solo».

Tre anni dopo, il 28 ottobre 1956, in un periodo di profondi rivolgimenti, Wyszyński uscì di prigione, per decisione di Władysław Gomułka, leader del Partito operario unificato polacco, anch’egli passato per le prigioni staliniste, ma riabilitato e messo alla guida del Paese, nonostante le perplessità di Chruščëv.

Dopo la liberazione di Wyszyński, la Polonia sarebbe rimasta comunista per alcuni anni, ma la Chiesa polacca aveva guadagnato una tale autorevolezza da poter giocare un ruolo pubblico, unico nei Paesi oltrecortina. Alcuni anni dopo avrebbe dato un Papa alla Chiesa e sarebbe divenuta un’isola di libertà, dove lentamente e dolcemente maturò il sogno di un’uscita pacifica dal comunismo.

di Massimiliano Signifredi