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Le storie

L’ultima beghina

La statua nel Beghinaggio di Amsterdam (da insolitamsterdam.com)
26 settembre 2020

Si chiamava Marcella Pattijin, era nata nel 1920 nel Congo Belga e, cieca dalla nascita, viveva in una comunità religiosa femminile a Sint-Amandsberg, in Belgio. È morta nel 2013 e il mondo l’ha salutata come l’”ultima beghina”: la pia Marcella aveva perpetuato la tradizione medievale che spingeva tante donne a consacrarsi a Dio senza prendere il velo e svincolate dal controllo ecclesiastico. Né mogli né madri né monache: una scelta di fede e di libertà estrema accompagnata da una vita di preghiera, penitenza, castità, lavoro assistenziale. A partire dal dodicesimo secolo, questa realtà si diffuse nell’Europa del Nord e le beghine, accettate e sconfessate a fasi alterne dalla Chiesa, vennero spesso accusate di eresia, perfino mandate al rogo come accadde nel 1310 alla mistica delle Fiandre Margherita Porete, una delle figure più famose con Hadewijck di Anversa, Maria d’Oignies, Mectilde di Magdeburgo. E ancora oggi il termine “beghina” è associato con frettolosa superficialità a bigottismo, arretratezza, chiusura intellettuale.

Ma in tempi recenti c’è stata un’altra donna straordinaria che questo pregiudizio ha saputo ribaltarlo: Romana Guarnieri, padre italiano e madre olandese, considerata l’ultima beghina del Novecento, scomparsa a Roma nel 2014 dopo aver lasciato una traccia profonda nella cultura della Chiesa. Animata da una fede incrollabile, studiosa della mistica medievale, scrittrice finissima, viveva in solitudine in una grande casa-studio con vista sul Cupolone, convinta che la ricerca intellettuale potesse essere uno strumento di santificazione personale ma anche di salvezza degli altri. «Essere beghina, per me, significa continuare la scelta delle figure femminili che ho studiato. Essere nel mondo senza essere nel mondo» spiegava, «essere di tutti e di nessuno. O meglio, di Uno solo: ma Lui è la libertà assoluta».

La sua esistenza consacrata a Dio e agli studi rigorosi è stata caratterizzata da una clamorosa scoperta, destinata a darle risonanza internazionale: nel 1944, n uno scaffale della Biblioteca Vaticana, Romana identificò lo Specchio delle anime semplici, testo mistico-filosofico di Margherita Porete diventato poi un classico della letteratura spirituale. Nel quattordicesimo secolo, quelle pagine in pergamena avevano portato l’autrice a morire arsa viva in una piazza di Parigi perché, in quanto donna, non aveva il diritto di scrivere un libro tantomeno di avventurarsi nella teologia. Romana era nata a L’Aja nel 1913 da una famiglia intellettuale: il padre, Romano Guarnieri, fu tra fondatori dell’Università per Stranieri di Perugia e la madre Iete van Beuge era una pittrice. Dopo il divorzio dei genitori, a 12 anni la futura beghina arriva a Roma con la mamma che aveva risposato un architetto italiano. Prende la maturità al Liceo Visconti, si laurea in letteratura tedesca alla Sapienza. Il pensiero di Dio non la sfiora: sebbene battezzata, è cresciuta in un ambiente agnostico. Ma nel 1938, la sua vita ha una svolta: è l’incontro con don Giuseppe De Luca, coltissimo prete romano animatore della cultura cattolica dell’epoca che le fa scoprire la fede, le insegna il valore della preghiera, soprattutto la incoraggia a continuare la ricerca e la indirizza all’attività editoriale. Romana, scontrandosi con la famiglia e i professori, rinuncia a una carriera universitaria avviata (alla Sapienza avevano creato proprio per lei un lettorato in olandese) per tuffarsi negli studi storici, in particolare sulla storia della pietà. Pronuncia il voto di castità e stabilisce con De Luca un lungo sodalizio intellettuale che genera le Edizioni di Storia e Letteratura, l’Archivio italiano per la Storia della pietà e si interrompe solo alla morte del prete, nel 1962.

Romana continuò ad analizzare le mistiche medievali, i movimenti religiosi femminili, a scrivere libri e saggi (la sua bibliografia conta circa 200 titoli), a coltivare l’amicizia con altre studiose e teologhe. Nella sua casa romana, frequentata da giovani e intellettuali, nel 1987 nasce «Bailamme», rivista di spiritualità e politica. Negli ultimi anni costretta all’immobilità, Guarnieri chiuse gli occhi il 23 dicembre 2004 lasciando un grande rimpianto in chi l’aveva conosciuta, sia di persona sia attraverso le opere. I nipoti Adriano e Massimo donarono i 5.000 volumi della sua biblioteca all’istituto Veritatis Splendor di Bologna: una testimonianza preziosa della parabola intellettuale, religiosa e umana dell’ultima beghina moderna che ha illuminato il pensiero spirituale di un secolo.

di Gloria Satta