· Città del Vaticano ·

In un libro le catechesi di Francesco sulle Beatitudini

Il cristianesimo non è facile, ma è felice

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17 settembre 2020

«Beati i poveri. Catechesi sulle Beatitudini» è il titolo del volume, pubblicato dalla Libreria editrice vaticana (Città del Vaticano 2020 - pagine 46, euro 8) che raccoglie le parole di Papa Francesco alle udienze generali dal 29 giugno al 29 aprile di quest’anno. Di seguito diamo ampi stralci della prefazione scritta dal vescovo presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica.

Dopo giorni in cui — come ha affermato Papa Francesco — una tempesta ha smascherato la nostra vulnerabilità e ha messo a nudo le false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità, e ha fatto cadere “il trucco” degli stereotipi con cui mascheriamo i nostri “ego”, avvertiamo il bisogno di “ri-prendere” in mano la vita con le sue speranze, i suoi sogni e, anche, con le sue fatiche (...).

In questo tempo così “complicato”, il magistero di Papa Francesco ci fa da guida chiedendoci di fermare la nostra riflessione sulle Beatitudini come «carta d’identità del cristiano»; esse, infatti, mentre rappresentano la «configurazione della vita» con i suoi drammi e i suoi interrogativi disegnano «l’arte di essere qui e ora» (J. Mendonça) del cristiano.

Tra le pagine più affascinanti ed esigenti del Vangelo, le Beatitudini ci dicono che la vita cristiana non è contraria o poco incline alla felicità o diffidente nei suoi confronti; ci mostrano il volto gioioso del credente che ha trovato nella sua vita le ragioni profonde per le quali vale la pena vivere, lottare e sperare; ci aiutano a rialzarci e rimetterci in cammino anche quando la speranza sembra essere diventata “straniera” nella nostra vita.

In un’omelia, nel giorno della festa nazionale argentina, Papa Francesco, ancora arcivescovo di Buenos Aires, invitava a «meditarle con calma (...), una sorta di “cadenza sapienziale”, di modo che il loro significato arrivi diritto al nostro cuore» (...).

Seduto sul monte, come vero Maestro, Gesù si rivolge non solo ai discepoli e alla folla che lo segue, ma a tutti coloro che cercano la felicità, a tutto l’uomo, ad ogni uomo, annunciando la promessa di una vita “buona” e pienamente umana e il cammino da percorrere per farne esperienza. Proprio per questo le Beatitudini ci attraggono: Gesù parla a noi, al nostro cuore inquieto, alla nostra sete d’amore, al nostro bisogno incancellabile di felicità, alla necessità che è nel profondo di ognuno di noi di essere riconosciuti nella nostra identità più vera, amati con un affetto puro, totale, bello e che duri per sempre. Proprio da qui parte l’annuncio di Gesù. Dicendo “beati” egli richiama il mondo delle nostre aspirazioni più grandi, mentre ciò che aggiunge di volta in volta ci sconcerta e ci interroga, perché sembra indicare proprio l’opposto di ciò che avremmo immediatamente voluto o cercato.

Non un discorso consolatorio o illusorio, quanto un grido — ricordiamo le immagini del Gesù di Pasolini — che invita a rialzarsi, a rimettersi in cammino. La parola chiave che ritornerà nove volte sulle labbra di Gesù è, infatti, ‘ashre, termine che in ebraico suona come un invito ad andare avanti. Promessa che è certa e precede quanti vivono una determinata situazione. Parola che indica uno stile da assumere. Parola che cambia l’ottica con la quale si guardano la vita, la realtà, gli altri (...).

Noi traduciamo quest’espressione, tante volte presente nei Salmi e nella sapienza di Israele, con “beati” (dal greco makárioi, che i vangeli prendono dalla versione dei lXX). Purtroppo non abbiamo un termine italiano che ne sveli adeguatamente il contenuto. “Beati” non è un aggettivo, è un invito alla felicità, alla pienezza di vita, alla consapevolezza di una gioia che niente e nessuno può rapire né spegnere (...).

Accogliere l’invito di Papa Francesco a meditare le Beatitudini significa scoprirle come promessa di felicità, come invito alla bellezza, a lavorare la propria vita fino a farne un capolavoro. Ma ancor più che di felicità, l’uomo ha bisogno di senso, e le Beatitudini, come promessa, attestano che si può trovare senso anche nell’assurdo del dolore, che il mondo può essere vissuto anche nell’invivibile della persecuzione, della violenza subita, di situazioni di guerra (...).

Autoritratto più esatto e affascinante di Gesù — l’immagine di sé stesso che egli ci rivela e imprime nel nostro cuore — le Beatitudini diventano rivelazione della vita possibile per noi se troviamo radici nell’umanità di Gesù. Allora comprendiamo che anche persecuzione e afflizione, assenza di pace e mancanza di giustizia, sono situazioni che possono aprire alla beatitudine insegnando a operare la pace, a osare la misericordia, a vivere nella mitezza, a creare bellezza. Sono l’annuncio che Dio si allea con la gioia degli uomini, se ne prende cura. Il Vangelo mi assicura che il senso della vita è, nel suo intimo, nel suo nucleo profondo, ricerca di felicità (...).

Le Beatitudini sono anche programma per chi si pone alla sequela di Gesù. Programma inatteso, controcorrente, che provoca e richiama a un reale cambiamento di vita, che srotola nove sentieri che lasciano senza fiato: felici i poveri, gli ostinati a proporre sentieri di giustizia, i costruttori di pace, quelli che hanno il cuore dolce e occhi bambini, i non violenti, quelli che sono coraggiosi perché inermi. Sono loro la sola forza invincibile. La felicità prospettata dalle Beatitudini non è solo quella futura, quella dell’al di là: Gesù non dice che i poveri, i miti, gli afflitti “saranno” beati; dice che “sono” beati, lo sono già ora (...). Permeati da questa gioia pasquale la povertà diventa ricchezza; le lacrime possono diventare gioia; la purezza del cuore diventa trasparenza di Dio; la mitezza conquista più della violenza; la misericordia penetra e convince più che la severità; la pace ha la meglio sulla guerra; l’amore scavalca l’odio e lo distrugge. Vivendo la logica esigente delle Beatitudini, il cristiano traccia continuamente sentieri di speranza: afferma che il mondo non è e non sarà, né oggi né domani, sotto la legge del più ricco e del più forte (...).

di Nunzio Galantino