· Città del Vaticano ·

Il santo francescano amava definirsi “frate asino”

Giuseppe da Copertino e la teologia per bambini

Giuseppe Cades, «Estasi di Giuseppe da Copertino» (primo schizzo per la pala d’altare della cappella dedicata al santo nella chiesa romana dei Santi XII Apostoli, 1753 circa)
17 settembre 2020

La sua popolarità valica l’ambito puramente devozionale, tanto da aver ispirato il film Cronache di un convento (The Reluctant Saint, 1962), diretto da Edward Dmytryk. Perfino il miscredente Carmelo Bene allude alla sua figura nel film Nostra Signora dei Turchi (1968) fino ad arrivare a dedicargli addirittura un’intera sceneggiatura cinematografica, A boccaperta (1976). «In questa attesa assolata, rotto a strappi dalle decisioni disperate appena accennate, Giuseppe se ne sta sdraiato nel sole. “Idiota”, la bocca sempre aperta e gli occhi fissi nel cielo vuoto, sotto un altissimo muro bianco...». Nel 1967 in C’era una volta... di Francesco Rosi viene rappresentato come protettore della protagonista Isabella, interpretata da Sophia Loren. A lei, appare alcune volte grazie al prodigio dell’“estasi volante”. Stiamo parlando di Giuseppe da Copertino, uno dei santi più conosciuti del calendario liturgico.

Ma molto spesso, capita ai santi, per via di una consolidata devozione popolare, o per una sorta di semplicistica classificazione, di rimanere nell’immaginario collettivo come cristallizzati in tante “etichette”: Antonio di Padova e il bianco giglio, Francesco d’Assisi e le stigmate, Rita da Cascia e l’immancabile rosa. E l’elenco potrebbe continuare ad libitum. A Giuseppe da Copertino, ad esempio, sono state riservate due etichette: quella di “santo volante” e quella del “santo degli studenti”.

La prima nasce da diverse testimonianze d’epoca che ci raccontano il suo prodigioso elevarsi da terra, in estasi, durante l’adorazione o la celebrazione della santa messa. Come avvenne in quel famoso 4 ottobre 1630, solennità di san Francesco d’Assisi: al rientro in chiesa, dopo la processione per la festa del Serafico padre, il sacerdote francescano Giuseppe da Copertino si eleva — per la prima volta — verso il cielo. Avviene così, inaspettatamente. Da allora la sua vita non fu più la stessa. Le estasi segnarono gli anni che seguirono, fino alla sua morte nel 1663.

L’arte ha offerto copiosa testimonianza di questa così eterea immagine: san Giuseppe da Copertino, in volo, in piena estasi. Durante il Seicento e il Settecento, la produzione di questa tipologia di immagine dilaga in tutta Europa. Emblema di tutto rimane, senza dubbio, L’estasi di san Giuseppe da Copertino (1753 circa), dipinta dall’artista romano Giuseppe Cades, e conservata a Roma nella basilica dei Santi XII Apostoli.

Seconda “etichetta”: “il santo degli studenti”. Giuseppe Maria Dessa — questo il suo nome originario — a quasi diciassette anni lascia la madre Franceschina (rimasta vedova del marito Felice) per entrare nel convento dei frati francescani conventuali (detto della “Grottella”), situato a due passi da Copertino. Ma, dopo un periodo di prova, viene mandato via, per il suo acume non certo portentoso.

Passa, allora, ai francescani riformati. Ma anche questa volta, Giuseppe viene rifiutato. Avviene un terzo passaggio: tenta con i cappuccini di Martina Franca. Resta con loro otto mesi, ma viene poi rimandato a casa. Grazie all’interessamento dello zio materno, Giovanni Donato Caputo, riuscì solo dopo molte insistenze a farsi accettare di nuovo dai frati conventuali della “Grottella”, dove divenne oblato, poi terziario e finalmente fratello laico, all’età di ventidue anni.

Ma il desiderio di Giuseppe era quello di diventare sacerdote e così intraprese il cammino per il diaconato, pur sapendo appena leggere e scrivere. Ma avviene qualcosa di inimmaginabile al momento dell’esame: egli non aveva, certo, un approccio intellettuale con la Sacra scrittura. A mala pena riusciva a spiegare qualche brano, e se ci riusciva lo faceva con molta fatica. Il vescovo esaminatore aprendo a caso il libro domandò il commento della frase: «Benedetto il grembo che ti ha portato» (Lc 11, 27). Meraviglia: quello di Luca era proprio l’unico brano che il giovane frate era riuscito a studiare bene durante l’anno di preparazione per essere ordinato diacono.

Poi, trascorsi i tre anni di formazione al sacerdozio, c’era da superare l’ultimo e più difficile esame. Altro prodigioso episodio: i postulanti conoscevano bene il programma. Mentre Giuseppe ne era ignaro del tutto. Il vescovo ascoltò solo i primi, che superano brillantemente l’esame. Non volle ascoltare più nessuno, convinto che anche gli altri fossero altrettanto preparati. E così, ammise tutti, compreso Giuseppe. Era il 4 marzo 1628.

Il racconto, fin qui, potrebbe essere avvincente, anche simpatico; ma l’essenza del santo da Copertino dove si trova in tutto ciò? È lecito domandarselo, se non necessario. Il rischio delle etichette è in agguato, sempre. In tutti questi episodi “da romanzo” manca infatti la lezione più importante che egli ha voluto lasciare: per innalzarsi bisogna svuotarsi di sé. Non si “vola” se si è carichi di sé stessi.

Il sacerdote francescano fa certamente parte della schiera dei “piccoli” richiamata dal Vangelo. Ignorante per gli uomini, sapiente per Dio. San Paolo lo descrive bene: «La conoscenza riempie di orgoglio, mentre l'amore edifica. Se qualcuno crede di conoscere qualcosa, non ha ancora imparato come bisogna conoscere. Chi invece ama Dio, è da lui conosciuto» (1 Cor 8, 2-7.11-13).

Amante dei poveri, il santo frate confida solo nella potenza del nome di Gesù. Forte paladino degli umili contro i potenti, amorevole con i sacerdoti perché fossero fedeli al proprio ministero. Nelle “Massime di san Giuseppe da Copertino” (cfr. G. Parisciani, o.f.m.conv., San Giuseppe da Copertino alla luce dei nuovi documenti, Osimo, 1963) riusciamo perfino a trovare parole di una teologia così profonda che potrebbe quasi disorientare il lettore verso l’immagine del “frate asino”, come egli amava definirsi. Scrive infatti: «L’amore di Dio è tutto. Tre sono le cose proprie di un religioso: amare Dio con tutto il cuore, lodarlo con la bocca, e dare sempre buono esempio con le opere. (...) La grazia di Dio è come il sole, che splendendo sugli alberi e le loro foglie, li adorna ma non li contamina, li lascia nel loro essere, senza minimamente alterarli. Così la grazia di Dio, illuminando l’uomo, lo adorna di virtù, lo fa splendente di carità, lo rende bello e vago agli occhi di Dio; non altera la sua natura, ma la perfeziona. Dio vuole, dell’uomo, la volontà, poiché questi non possiede altro di proprio, pur avendola ricevuta quale prezioso dono dal suo Creatore».

San Giuseppe da Copertino con queste poche parole riesce a sintetizzare gli elementi fondamentali su cui si basa il cristianesimo, la fede in Dio. E lo fa con una teologia semplice, “dei piccoli”: una teologia per bambini, potremmo definirla. In fondo, si sa bene che solo loro riescono a “volare” veramente meglio di nessun altro, con la fantasia, con il cuore libero e aperto alla scoperta di ogni giorno.

di Antonio Tarallo