· Città del Vaticano ·

Le conclusioni del Forum sull’accesso all’acqua

Collaborare per sopravvivere

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25 settembre 2020

Il forum «Dal diritto all’acqua al diritto alla speranza» si è concluso lo scorso 17 settembre, dopo sei incontri che hanno costituito un processo di dialogo iniziato nel mese di giugno. A questi incontri virtuali, sostenuti dallo stesso Papa Francesco, hanno preso parte esperti di oltre venti Paesi del mondo. L’attività è stata coordinata dal professor Luis Liberman e da Gabriela Sacco, rispettivamente direttore generale e direttore esecutivo dell’Instituto para el diálogo global y la cultura del encuentro (Idgce), e dal cardinale Cláudio Hummes, presidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), che è stato anche relatore generale del Sinodo dei vescovi per l’Amazzonia tenutosi in Vaticano a ottobre 2019.

In un comunicato ufficiale, l’Idgce e la Repam hanno evidenziato la presenza al forum del linguista nordamericano Noam Chomsky, come anche di altri importanti relatori, i cui interventi sono stati divisi in tre segmenti programmatici.

L’intellettuale statunitense ha fatto riferimento alle grandi crisi che l’umanità sta attraversando — democratica, economica, climatica e ora anche sanitaria — e ha lanciato un appello ai nuovi leader e alla società nel suo insieme: «Occorre uno sforzo comunitario». Inoltre ha affermato che il momento attuale, più che porre dilemmi, presenta un pronostico poco favorevole per il pianeta: «Internazionalismo o estinzione, a questo dobbiamo far fronte. È improbabile che l’umanità possa sopravvivere con un innalzamento di dieci metri del livello del mare», ha ammonito. Ha inoltre riconosciuto che il lavoro di Papa Francesco è «un campanello d’allarme per affrontare questa crisi».

Il primo a intervenire nel dibattito è stato l’avvocato ambientalista Robert Billot, seguito da Ximena Lombana, attivista per i diritti umani delle popolazioni dell’Amazzonia colombiana. Billot ha presentato il percorso della sua causa più emblematica, quella contro l’azienda chimica nordamericana DuPont, accusata di aver inquinato con prodotti chimici non regolamentati le acque della città di Parkersburg, nello stato della Virginia occidentale. La sua è stata una delle cause più rappresentative in materia di controversia ambientale e ha ispirato anche un film nel 2019 dal titolo Dark Waters.

Sulla stessa linea Ximena Lombana, la quale, oltre a essere difensore dei diritti della popolazione dell’Amazzonia colombiana, è anche avvocato del Vicariato del sud dell’arcidiocesi di Florencia (Caquetá) e ha presentato i risultati del «Resoconto della violazione dei diritti umani delle comunità dell’Amazzonia», un lavoro congiunto dell’Asse dei diritti umani e della Rete ecclesiale panamazzonica, di cui l’attivista fa parte. Lambana ha denunciato il fatto che nelle politiche statali non si tiene conto delle popolazioni indigene della Panamazzonia, che sono vittime della colonizzazione dei territori a beneficio di capitali privati, «e in Colombia anche vittime del conflitto sociale e armato, erroneamente chiamato post-conflitto».

Al secondo tavolo di lavoro è intervenuto il presidente del Consiglio mondiale sull’acqua, Loïc Fauchon. Ha colto l’occasione per richiamare l’attenzione sul fatto che quello idrico è un tema inevitabilmente politico. Secondo il dirigente di questo organismo internazionale, «l’accesso all’acqua deve attuarsi come un imperativo quotidiano, assicurando l’acqua di oggi e l’acqua di domani». È quindi intervenuto il ricercatore Carlos Nobre. A suo avviso se vogliamo trovare soluzioni alle problematiche che nascono dal cambiamento climatico «dobbiamo ascoltare la saggezza delle comunità amazzoniche, dobbiamo imparare da loro» e, sempre a suo avviso, dobbiamo affrontare anche la sfida di collaborare affinché le foreste possano recuperare l’equilibrio e si sostengano da sole.

La conclusione è stata affidata a Fernando Ezequiel Solanas, ambasciatore argentino presso l’Unesco. Il cineasta ed ex legislatore argentino ha analizzato la situazione attuale e ha sottolineato le conseguenze politiche del cambiamento climatico: «I Paesi dell’emisfero nord nel loro insieme emettono più dell’80 per cento dei gas ad effetto serra. I Paesi del sud, che ne emettono meno del 15 per cento, sono però le vittime principali». Secondo Solanas. «Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale per un cambiamento civilizzatore, per il pianeta e per continuare a esistere», ha affermato Solanas.

Miguel Heinz, presidente dell’associazione caritativa tedesca Adveniat, ha inaugurato il terzo tavolo di lavoro. Nel suo intervento il sacerdote ha affermato che è importante non perdere di vista le altre ingiustizie a cui sono esposte le popolazioni più vulnerabili del continente, perché «il coronavirus non solo aggrava le violazioni dei diritti umani, ma è anche come una lente d’ingrandimento che rivela le ingiustizie strutturali sociali di questo mondo. La pandemia deve far aprire gli occhi ai leader economici e sociali, ma pure a noi stessi perché ne siamo parte». Sulla stessa linea il vicepresidente della Repam, cardinale Pedro Ricardo Barreto Jimeno, che ha ricordato l’importanza del Sinodo per l’Amazzonia nello sforzo di trovare soluzioni alle crisi ambientali e sociali che colpiscono le comunità più bisognose del mondo: «Lo svolgimento del Sinodo ci ha dato un forte impulso a mettere in pratica l’inculturazione della pace. Credo che Papa Francesco ci faccia sognare — sognare insieme — per custodire l’acqua, la ricchezza della natura e la vita, credo che il nostro compito sia convincere la gente: dobbiamo cercare insieme un modello di sviluppo alternativo perché quello attuale ha fallito».

Nell’intervento conclusivo Luis Liberman, ha affermato che «non si tratta di intendere la speranza come un fatto d’ingenuità. È un lavoro che implica discernimento, dialogo, pensare il futuro e pensarlo a partire dal presente, non attenderlo». Alle sue parole sono seguite quelle del cardinale Cláudio Hummes sul lavoro che devono continuare a svolgere tutti i relatori del forum: «Andiamo alla ricerca di una società di prossimi dove riconoscerci. È una concezione ontologica dell’umano dell’uomo ed è una condizione dell’esistenza. È semplice, è come tendere una mano in attesa dell’altra».

di Marcelo Figueroa