· Città del Vaticano ·

Il magistero sociale di Paolo VI durante la visita in Colombia

Un messaggio per ieri e per oggi

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22 agosto 2020

Dal 22 al 25 agosto 1968 Paolo VI realizzò una visita in Colombia in occasione della celebrazione del XXXIX Congresso eucaristico internazionale a Bogotá e della seconda Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano che si tenne a Medellín, dopo essere stata inaugurata dal Santo Padre a Bogotá.

Il benefico apporto di Montini nel suo pellegrinaggio in questa nobile nazione latinoamericana rappresenta una bussola per la comprensione del suo magistero sociale. In effetti, le sue parole sono un’applicazione della sua enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967) e, al tempo stesso, una preparazione all’insegnamento successivo del Pontefice espresso in scritti tanto significativi come l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975).

La lettura distesa degli interventi dal Papa in Colombia offre chiavi di discernimento e di azione che hanno conservato tutta la loro rilevanza e luminosità. Mi sembra importante ricordare qui alcuni punti del ponderato pensiero di questo insigne pastore espressi in quel viaggio apostolico. Sebbene siano trascorsi più di cinquant’anni da quando le ha pronunciate, le sue parole non sono state scalfite né dal tempo né dalla distanza. Sono lezioni valide e opportune per il momento presente.

No alla forza delle armi e alla corsa agli armamenti

Sull’aereo appena decollato da Roma, all’alba del 22 agosto, il Papa fece riferimento all’occupazione di Praga (Cecoslovacchia) da parte delle truppe dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati del Patto di Varsavia, ad eccezione della Romania. Affrontò il tema anche nel messaggio agli inviati della stampa, radio e televisione (23 agosto), occasione in cui chiese ai governi di fare il necessario per arrestare la corsa agli armamenti e destinare i fondi erogati ad alleviare i grandi problemi che affliggono i popoli. E durante la messa per i campesinos, i lavoratori della terra, (23 agosto) non omise di dire chiaramente che ogni forma di violenza è contraria allo spirito cristiano e ritarda il compimento delle aspirazioni di giustizia.

Paolo VI riteneva che lui stesso, i pastori della Chiesa e ogni battezzato devono essere sempre apostoli della pace e promotori del dialogo e dell’intesa reciproca. Non si stancava di esortare tutti a lottare instancabilmente per instaurare la concordia nel mondo. Si può dire che questa fu una delle convinzioni più profonde del santo Pontefice, che espresse in molteplici modi durante il suo ministero petrino.

Purtroppo l’anelito di Montini non è restato circoscritto all’epoca in cui ha vissuto. Ancora oggi la fabbricazione e il commercio delle armi continuano a seminare il panico, ritardando lo sviluppo dei popoli e condannando le nazioni alla prostrazione e alla schiavitù. Per questo non sorprende che Papa Francesco non smetta di levare la sua voce esortando ad arrestare la corsa agli armamenti e a investire invece sulla pace e sulla solidarietà, finanziando non un’industria che genera morte, ma quei bisogni elementari che tanti nostri fratelli, per la loro povertà, non possono soddisfare.

Trasformare il mondo con la forza del Vangelo

Paolo VI affrontò il tema dello sviluppo dei popoli soprattutto nella sua omelia del 23 agosto, durante la messa celebrata in occasione della Giornata dello sviluppo. Nel ricordare che bisogna trasformare l’amore nel principio di rinnovamento morale e di rigenerazione sociale dell’America latina, il Papa invitò a tradurre “concretamente” questo amore in ogni attività atta a favorire la promozione integrale dell’uomo e dei popoli: alfabetizzazione, educazione, formazione professionale, formazione della coscienza civile e politica.

Sottolineò che il dinamismo della fede, tradizionale e rinnovata, deve risvegliare sempre più il senso di fraternità e di collaborazione armoniosa per una costante convivenza pacifica, e promuovere e consolidare gli sforzi per il progresso ordinato e l’equità, conformemente ai principi di giustizia e di carità cristiane (cfr., Discorso nell’incontro con il presidente della Repubblica, 22 agosto).

Parimenti, nel discorso pronunciato nella residenza del capo dello Stato (23 agosto), il Papa parlò della missione della Chiesa nella formazione dei cittadini, nell’insegnamento dell’etica e della morale, nella tutela dei diritti di libertà e di giustizia e nel costante invito alla responsabilità sociale di tutti.

Ancora più esplicito fu nel discorso in occasione dell’inaugurazione della seconda Conferenza dell’episcopato latinoamericano, dove fece riferimento alla dimensione sociale dell’evangelizzazione che esige la formazione di sacerdoti, religiose e laici nelle principali linee della dottrina sociale della Chiesa, ed esortò a un compito evangelizzatore più deciso e coraggioso di fronte ai grandi problemi che affliggevano — e continuano ancora a straziare — i popoli latinoamericani.

Anche oggi è necessario promuovere il rinnovamento della fede, affinché ci sia chiara consapevolezza che l’impegno dei cattolici deve includere i più svariati ambiti della vita umana e delle culture. La Chiesa non può in alcun modo sottrarsi al suo impegno con le realtà temporali, poiché esso è parte irrinunciabile dell’annuncio del Vangelo.

Adoperarsi con coraggio per l’equità sociale

La vicinanza del Papa ai più bisognosi, alle popolazioni rurali e agli operai si espresse in modo evidente in diversi momenti del suo pellegrinaggio in Colombia; le sue parole per loro sono forse le più energiche e incoraggianti. Rivolgendosi ai campesinos (23 agosto) ribadì che la Chiesa sta dalla parte degli indigeni e che non può smettere di ascoltare le loro afflizioni e sofferenze, perché rappresentano Cristo stesso. Aggiunse che il compito della Chiesa consiste nel consolidare i principi dai quali dipendono le azioni per porre rimedio alla miseria di tanti, annunciando così sempre la dignità umana e cristiana dei più bisognosi. La Chiesa non può rinunciare alla denuncia delle disuguaglianze economiche tra ricchi e poveri e, di conseguenza, deve promuovere iniziative e programmi per lo sviluppo integrale e il bene di tutti.

Montini esortò i governi dell’America latina e di tutti i Paesi ad affrontare con prospettive ampie e coraggiose le riforme atte a garantire ai loro popoli un ordine sociale più efficiente. In particolare, ricordò l’imperativo di accelerare una riforma agraria per far sì che i più negletti possano godere dei beni produttivi, ridistribuendo il possesso e l’uso delle terre.

Ma pure in questo ambito Paolo VI invocò la solidarietà tra le nazioni, anche con proposte concrete. Chiese, per esempio, di aprire al commercio internazionale vie più facili, al fine di favorire i Paesi ancora privi di sufficienza economica. A tale proposito, indicò come principio fondamentale il fatto che la ricchezza deve stare al servizio dell’uomo (cfr. Omelia della Santa Messa per i campesinos, 23 agosto).

Quanta urgenza e quanto bisogno abbiamo oggi di globalizzare la solidarietà! Ascoltare questi moniti e metterli in pratica diventerebbe l’antidoto contro il consumismo egoista e la cultura dello scarto che privano i più bisognosi di cibo, di acqua e dell’essenziale per sopravvivere e godere di condizioni di vita dignitose.

Durante il suo soggiorno in Colombia, il Pontefice prese le difese dei diseredati, dei più sfortunati, di quanti aspirano alla giustizia, a una vita dignitosa, alla libertà, al benessere e al progresso. Mostrò così alla Chiesa e al mondo che quanti vengono colpiti dal dolore e dalla mancanza di risorse non possono essere esclusi dalle loro preoccupazioni e sollecitudini. Se Cristo fu particolarmente vicino ai più bisognosi, i suoi discepoli devono imitarlo andando incontro agli esclusi della terra, a quanti conoscono solo la solitudine, la penuria e le lacrime.

Nell’attuale congiuntura, tanto segnata dalla crisi, la disoccupazione, la fame e altri iniqui flagelli, i discorsi pronunciati dal Papa in quel viaggio appaiono particolarmente attuali. Sono davvero uno sprone a mostrare che la solidarietà è virtù obbligata nel momento presente. Sono un ricco vivaio di suggerimenti pratici, iniziative effettive e inviti alla fraternità, per non farci cadere nell’indifferenza se ci lasciamo trascinare dall’incuranza. Al contrario, scuotono la nostra coscienza affinché, anche ai nostri giorni, uniamo forze, sommiamo idee e forgiamo alleanze per soccorrere gli ultimi, quanti non incontrano nel loro cammino una mano tesa per aiutarli, motivo per cui restano indietro, accantonati in un amaro presente e senza possibilità di affrontare il futuro con fiducia. In tal senso, il pensiero montiniano è sempre un valido collirio per rigenerare i nostri occhi perché non restino velati dinanzi ai problemi altrui. Senza questa visione d’insieme, generosa e incoraggiante, cresce l’autoreferenzialità e si spegne la speranza dei più deboli e bisognosi. Seguendo questi insegnamenti del Papa, invece, è possibile scoprire modelli incisivi affinché la Chiesa continui, a partire dall’amore di Dio, a compiere la sua missione di redenzione delle persone e dei popoli, specialmente di quelli più dimenticati. È quindi prioritario che oggi interiorizziamo e accogliamo nuovamente il messaggio sociale di Paolo VI. Il suo contenuto è un faro di luce in un tempo così difficile e convulso com’è il nostro.

di Fernando Chica Arellano